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Discussione: Afghanistan, i soldati Italiani caduti
  1. #251
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote leo74m ha scritto:
    no no, dammela te che sei tanto bravo a parlare di superiorità!

    perchè ti risulta qualche mio post dove dichiaro la superiorità dell'occidente?..

    ti risulta che occidentali preparino in gran segreto attentati alle città sante islamiche?

    ti risulta che da noi gli islamici vivano in ghetti e non possano liberamente professare la loro fede?

    ti risulta che i cristiani abbiamo mai preteso, mettendo a soqquadro città con manifestazioni violente, delle scuse ufficiali ai vari capi religiosi islamici per i loro morti?

    ..si parla di operazioni militari, qualcuna sicuramente segreta, volte a carpire segreti militari strategici..

  2. #252

    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote code ha scritto:
    credo che delle testimonianze dai diretti interessati potrebbero aiutarci a capire,ma purtroppo chi ha detto di aver partecipato in primapersona come costantino,o chi dice di aver un figlio al momento impegnato in una missione,hanno prestato interesse alla discussione solo quando si parlava di "grano"..

    Ascolta bene Alessandro, Io ho risposto alla tua offensiva e delirante affermazione che paragonava i nostri militari italiani ai mercenari, ma ho espresso anche la mia idea su questa guerra ed altro, ma cio' che era scritto in buona parte è stato CANCELLATO.
    E più volte!
    Questo thread, quello che scrivete e come è stato condotto è la dimostrazionem casomai ce ne volesse una, di come da una certa parte si gestisce il dialogo.
    Detto questo, poichè avevo già scritto che a causa di tale atteggiamento non interverrò più su questo thread, ti prego di evitare di fare qualsiasi altro riferimento a me.
    Se poi vuoi insistere fai pure.
    Io non posso impedirtelo.
    RIPETO, NON INTERVERRO' PIù NE SU QUESTO THREAD NE SU ALTRO.
    Anzi sto realmente riflettendo sulla cancellazione totale del mio account!
    Grazie!
  3. #253
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote rediroma ha scritto:
    Ascolta bene Alessandro, Io ho risposto alla tua offensiva e delirante affermazione che paragonava i nostri militari italiani ai mercenari, ma ho espresso anche la mia idea su questa guerra ed altro, ma cio' che era scritto in buona parte è stato CANCELLATO.
    E più volte!
    Questo thread, quello che scrivete e come è stato condotto è la dimostrazionem casomai ce ne volesse una, di come da una certa parte si gestisce il dialogo.
    Detto questo, poichè avevo già scritto che a causa di tale atteggiamento non interverrò più su questo thread, ti prego di evitare di fare qualsiasi altro riferimento a me.
    Se poi vuoi insistere fai pure.
    Io non posso impedirtelo.
    RIPETO, NON INTERVERRO' PIù NE SU QUESTO THREAD NE SU ALTRO.
    Anzi sto realmente riflettendo sulla cancellazione totale del mio account!
    Grazie!

    la storia è piena di carnefeci e martiri,ma tanto nel 2012 cambia tutto.. non ti resta che aspettare quella fatidica data
  4. #254
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote paolovaldo ha scritto:
    ma sù, Massimo, ora veramente sei tu che vuoi credere al mondo delle fiabe

    come puoi pensare che in guerra si possa tenere a freno gli istinti di violenza?

    nessun comandante ha mai fatto una cosa del genere, sarebbe come essere sconfitti in partenza!
    E secondo te a cosa servono gli ufficiali? A mantenere
    l' autocontrollo dei sottoposti oltre che a dare ordini operativi, no?

    Comunque, Paolo, mi sa che non hai capito bene quanto intendevo:
    un conto sono le reazioni in battaglia (ci stanno gli istinti di violenza, mica vivo nel mondo delle fiabe!), un altro la condotta di guerra e di controllo e gestione del territorio.

    Le testimonianze riportare da CODE lascerebbero presupporre che in Afghanistan le nostre truppe operano come facevano i nazisti nell'Europa occupata e questo non posso crederlo!


    Quote paolovaldo ha scritto:
    ma poi mi spieghi quale sarebbe la civiltà superiore?

    però prima di rispondere, ripercorri 2000 anni di storia
    Ho già risposto.
    Inutile che facciamo i buonisti o gli egualitari.
    La nostra civiltà è superiore non solo per il benessere materiale garantito alla maggioranza della popolazione (nonostante la crisi, il caro-vita, etc...), ma anche e soprattutto per i diritti, le opportunità, le libertà che nei Paesi non-occidentali ancora devono conquistare


  5. #255
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote rommel74 ha scritto:
    E secondo te a cosa servono gli ufficiali?
    A niente...


    Le testimonianze riportare da CODE lascerebbero presupporre che in Afghanistan le nostre truppe operano come facevano i nazisti nell'Europa occupata e questo non posso crederlo!
    ..e fai male a non crederlo..il fine giustifica i mezzi..
  6. #256
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Ma adesso ve la riporto io una bella testimonianza, che considero più autentica di quelle riportate da CODE.
    Più autentica perchè è stata scritta da una persona che conosco molto bene, una mia amica giornalista, Gina Di Meo (mia amica anche su FaceBook), che ho avuto modo di conoscere direttamente qui a Bergamo per due anni, quando collaboravamo nello stesso giornale, prima che partisse per New York.
    E' stata in Afghanistan per un mese e mezzo, ripartendo per NY proprio il giorno stesso dell'attentato ai 6 soldati della Folgore, che aveva conosciuto durante la sua permanenza a Kabul. Ecco il suo racconto, che va a contraddire quelle che considero calunnie di alcuni esaltati neofascisti, sempre che siano testimonianze autentiche.
    Un racconto frutto di una testimonianza in prima persona, un mese e mezzo fianco a fianco dei soldati italiani.
    Ho evidenziato quella che considero le frasi più significative e che testimoniano l'atmosfera di tensione che respirano i nostri soldati, ben consapevoli di essere in guerra, ma anche il notevole autocontrollo dimostrato dagli stessi, nonostante le perdite di amici e compagni, morti o feriti.

    Oggi7

    PRIMO PIANO/AFGHANISTAN/
    Ricordo dei ragazzi della Folgore

    di Gina Di Meo



    PRIMO PIANO/AFGHANISTAN/Ricordo dei ragazzi della Folgore
    di Gina Di Meo

    Spesso noi giornalisti siamo bravi a fare gli "spavaldi" e a raccontare con freddezza glaciale di storie che riguardano gli altri, siamo bravi a commentare con il nostro senno di prima o di poi. Ma arriva un momento in cui prima o poi, invece, ti tocca scrivere di situazioni in cui sei tu stesso coinvolto emotivamente. Questa volta è toccato a me e non poteva capitarmi una situazione peggiore. Parlare di sei ragazzi morti in un sol colpo!

    In altre occasioni, cinicamente avrei detto: "Ho fatto Poker...
    tutti in una volta"...

    ...solo che quei ragazzi io li avevo conosciuti e come si fa a scrivere in modo distaccato di persone con le quali hai riso, scherzato fino a pochi giorni prima? Mi è arrivata la notizia dell'attentato agli italiani a Kabul mentre mi stavano imbarcando sul volo per New York. Sono stata assalita da sentimenti di nervosismo. Non potevo far niente, ero in volo, non potevo informarmi su chi fossero le vittime. Per tutto il viaggio non ho fatto altro che pensare al momento in cui avrei letto i nomi dei ragazzi morti. E come ogni copione dall'epilogo tragico che si rispetti, in cui dal male si passa solo al peggio, mi sono ritrovata davanti il più macabro degli scenari.

    Tutti e sei, li avevo conosciuti tutti e sei!

    Antonio Fortunato, Roberto Valente, Matteo Mureddu, Giandomenico Pistonami, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino.

    Ad un tratto sono stata assalita da tanti flashback. Mi sono venute in mente le volte in cui ci siamo parlati, i loro accenti, i loro discorsi. "Ma lei è una giornalista?". Mi hanno chiesto quando ci siamo presentati. E io che sono scoppiata a ridere per il Lei... . "Ragazzi, niente Lei - gli dicevo - non sono un militare di grado superiore. Mi chiamo Gina e basta". E poi mi chiedevano dove lavoravo, com'era vivere a New York, molti di loro sognavano di andarci. E mi sono ricordata anche delle volte che mi hanno fatto la scorta per andare all'aeroporto. Non riuscivo a partire per Bagram, da dove avrei dovuto iniziare l'embed con i soldati americani. Per quattro volte sono rimasta a terra perché il volo veniva continuamente cancellato. E loro pazientemente andavano e tornavano dalla base e ogni volta ridendo mi dicevano: "Che dici parti questa volta?" Oppure: "Si vede che è destino che devi rimanere con noi". E io: "No, purtroppo devo andare".
    Mi ricordo anche delle loro conversazioni. Non vedevano l'ora di tornare a casa, mancava poco ormai. Parlavano delle vacanze, delle cose che avrebbero fatto, qualcuno non sapeva se al rientro avrebbe trovato ancora la ragazza ad aspettarlo! Discorsi da ragazzi, che non vedevano l'ora di tornare alla normalità. E io come faccio a dimenticare tutte le volte in cui non sopportavo il modo in cui mi stavano addosso, ma lo facevano solo per proteggermi, e io ora sono qui a raccontare e loro no.

    Se in un mese e mezzo passato in Afghanistan non mi è pesato niente in fondo è anche merito loro. Mi hanno fatto sentire "a casa", e ogni possibile tensione o momento di stanchezza scivolava via. Si rideva, si scherzava, c'era la pizza il sabato al Genio, oppure il caffè da Ciano, l'incontro al Tappeto Volante (posti della "movida" a Camp Invicta, base a Kabul del 186mo Reggimento Paracadutisti Folgore di Siena) e tanti altri momenti in cui anche se indossavi la mimetica, pensavi a ritagliarti attimi di vita normale. Durante tutta la mia permanenza in Afghanistan non ho mai avvertito il senso del pericolo, ancora oggi non riesco a spiegarmi il perché non ho mai avuto paura, anche sotto ripetuti attacchi da parte dei talebani. Comincio a pensarci adesso, quando la tragicità degli eventi ti travolge in modo così diretto rifletti su cose a cui non riuscivi a pensare perché troppo presa dall'entusiasmo della novità.

    Tutti lì non facevano che ripetermi quanto fosse pericoloso e io continuavo con il mio stato di "insana incoscienza", anche quando a Farah, Afghanistan sud-occidentale, mi hanno mostrato le foto dell'attentato in cui ha perso la vita lo scorso 14 luglio il Primo Caporal Maggiore Alessandro Di Lisio. Durante una conversazione, un giorno il capitano Aldo Lanteri dell'8° Reggimento genio paracadutisti di Legnago, mi raccontò che in Afghanistan era cambiata la loro mentalità come militari. «In Libano la nostra missione era di soccorso alla popolazione - diceva - in Iraq c'erano molte più restrizioni, più regole d'ingaggio. Qui siamo impegnati in una guerra. Parecchie nostre capacità come guastatori sono venute fuori qui, anche le tecniche di route clearance le stiamo sperimentando qui, gli insurgents sono molto più evoluti».

    Qui siamo nella zona di "residenza" dei cosiddetti talebani "pensanti", quelli di tipo ideologico, gli irriducibili ed è qui che sei mesi fa è arrivato il 187mo Reggimento Paracadutisti Folgore di Livorno. Alessandro era un esperto artificiere e faceva parte di un team specializzato nella bonifica delle strade prima del passaggio di convogli militari e diplomatici. È una ferita ancora aperta non solo emotivamente parlando e che ha lasciato semiparalizzato un altro dei ragazzi della squadra e gli altri ancora in convalescenza.
    Per noi ha ricordato quel giorno il capitano Matteo Epifani, del I Reggimento Bersaglieri di Cosenza, che era a poche centinaia di metri di distanza dal blindato saltato in aria. «Erano due mesi - ci dice - che svolgevamo attività con il plotone Genio dei paracadustisti (di cui faceva parte Alessandro, ndr). Facevano operazioni di route clearance, e le Ied (Improvised explosive device) erano state sempre scoperte in anticipo, fino a quel giorno. Qui, purtroppo, quando la fortuna gira male si incorre in questo tipo di eventi.
    Gli insorti ci osservano, ci studiano e prendono contromisure. Quando c'è stata l'esplosione, io ho dovuto accertare personalmente quello che era successo, nel Lince (Vtlm, il blindato dell'Iveco dell'Esercito italiano) con Alessandro c'erano altri tre commilitoni, lui era l'uomo in ralla. I ragazzi del plotone Genio sono rimasti tutti molto provati, fino ad allora avevano sempre riconosciuto gli ordigni, il fatto che proprio loro siano stati colpiti e poi vedere il loro compagno per terra, con cui passano 24 ore al giorno e allo stesso tempo continuare a combattere è stato molto doloroso. Ma nonostante ciò non ci sono state scene di confusione o delirio, anche se emotivamente molto provati si deve reagire in quelle situazioni».

    Secondo quanto ci è stato raccontato, è probabile che Alessandro abbia visto qualcosa e abbia detto al conducente di fare qualche manovra, in questo modo ha evitato che anche altri mezzi saltassero in aria. Ma dopo la tragedia il dramma non è finito perché i suoi compagni hanno dovuto recuperare i pezzi per le indagini ed il suo corpo è rimasto per terra fino a sera. «Abbiamo prima dovuto portar via i feriti - continua Epifani - e a noi è toccato stare lì a vederlo sotto un telo mimetico, abbiamo dovuto controllare anche eventuali nostre reazioni di vendetta, tanto più che a distanza sembrava ci fosse qualcuno che festeggiava per quanto accaduto».
    E riguardo alle polemiche scoppiate in Italia dopo l'incidente. «Qui la polemica è l'ultima cosa che ci serve. Siamo qui per accordi internazionali, dibattere sul mantenere o meno le truppe lascia il tempo che trova, meglio pensare al modo in cui uscirne. Anche noi vorremmo stare altrove. La polemica è un atteggiamento molto italiano, non ci aiuta, sarebbe meglio dire: Siamo vicini ai nostri soldati, alle loro famiglie! Le persone comuni non devono fare i militari».

    Task Force South (l'unità organizzata per assolvere a specifici compiti militari costituita da paracadutisti e bersaglieri, con una componente del genio paracadutisti) controlla un'area di oltre 84mila mq con soli 430 uomini. «Si tratta di una zona ad alto rischio - ci spiega il Tenente Colonnello Rodolfo Sganga, comandante del Battle Group South -. La nostra policy è che ci muoviamo laddove siamo in grado di mantenere gli effetti della nostra operazione, ovvero una presenza costante nel tempo. Siamo lungo la Ring Road (sorta di raccordo anulare di oltre 2mila km che collega le principali città afghane) e la 517, la strada statale che collega la Ring Road all'abitato di Farah e dove le attività degli insorti sono particolarmente attive.
    Qui i talebani cercano di protrarre gli attacchi nel tempo in modo da scoraggiarci e mandarci a casa. All'inizio il nemico ci studia e noi siamo quasi liberi di muoverci liberamente. I primi attacchi sono stati diretti ora quasi esclusivamente con Ied. Qui l'avversario è in grado di adattarsi velocemente al tipo di militare che si trova davanti e ha bisogno del supporto della popolazione locale anche se semplicemente neutrale, ossia che tiene la bocca chiusa (di tipo passivo, ndr). Noi invece abbiamo bisogno del supporto attivo della popolazione locale, che ci dica: "Qui ci sono gli insorti". Gli insorti sono molto preparati nelle pratiche di insurgency vere e proprie, sono un avversario pensante che legge e studia e dipende molto da forze esterne per armi e fondi.

    Lavoriamo, inoltre, con Anp e Ana perché vogliamo che la popolazione veda con i proprio occhi che sono gli afghani stessi a fare le operazioni e noi siamo di supporto, potremo andarcene di qui solo quando le forze locali saranno in grado di operare da sole. La stessa cosa vale per le attività Cimic (Civil-military Cooperation), sono gli afghani stessi, con la nostra presenza, a distribuire gli aiuti alla gente. Diciamo che abbiamo invertito la strategia Isaf, lasciamo che gli afghani interagiscano tra loro».

    Una politica che ha anche sempre valutato di non condurre bombardamenti in massa per non creare danni collaterali alla popolazione e che quindi mira al rispetto dei locali e a non far nascere ulteriori condizioni per gli insorti per reclutare a livello locale.
    Task Force South ha scelto di non bombardare neanche quando ci sono stati attacchi cruenti, come quello dello scorso 25 luglio. «Siamo stati attaccati con diversi tipi di armi - continua Sganga - e noi abbiamo impiegato circa 20 minuti a capire da dove sparassero. Ci hanno accerchiato e avevamo i mezzi impantanati nel letto del fiume. Abbiamo richiesto anche l'intervento di bombardieri americani ma non gli abbiamo detto di sparare, il tutto è andato avanti per cinque ore».

    Eppure, in una zona che apparentemente sembra senza speranza, a fine mese l'Unama, una missione integrata amministrata da Undpko (United Nations peacekeeping) aprirà un proprio ufficio a Farah, ciò vuol dire che ci sono condizioni di sicurezza tali da consentire ad un'organizzazione non governativa di impiantarsi sul territorio.

    «È una nostra vittoria dal punto di vista della sicurezza - conclude il tenente colonnello Sganga - è un cambio avvenuto solo negli ultimi mesi e ce lo ha confermato la stessa popolazione. Su Unama noi non abbiamo avuto nessuna influenza, sono stati loro a fare le valutazioni sul livello di sicurezza tramite un loro responsabile».
  7. #257
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote paolovaldo ha scritto:
    ma sù, Massimo, ora veramente sei tu che vuoi credere al mondo delle fiabe

    come puoi pensare che in guerra si possa tenere a freno gli istinti di violenza?

    nessun comandante ha mai fatto una cosa del genere, sarebbe come essere sconfitti in partenza!



    Queste testimonianze sono estratte dal reportage che verrà pubblicato sul numero di ottobre della rivista mensile di Peacereporter. Raccontano storie, sono cariche di rabbia e sono le voci dirette di chi sta soffrendo gli effetti della guerra in corso in Afghaniostan. L'attentato di Kabul, oltre alle dieci vittime italiane, di cui sei morti, ha fatto dieci morti fra i civili e altri cinquantacinque feriti.


    "Quando abbiamo sentito arrivare gli elicotteri stranieri, noi civili siamo scappati via perché avevamo paura, ma dagli elicotteri ci hanno sparato contro con i missili", racconta Karim, occhi azzurro cielo e baffi arricciati in punta. "Molti di noi sono stati feriti e almeno cinque o sei sono morti".
    Il giovane Rashid è seduto in carrozzina con un'amputazione al ginocchio. "Me ne stavo seduto con due amici davanti a casa mia quando i blindati stranieri appostati in cima alla collina di fronte hanno sparato un colpo contro di noi. Io sono rimasto ferito alle gambe, ma i miei due amici sono morti".
    "Gli elicotteri stranieri hanno bombardato il mio villaggio. La mia stalla ha preso fuoco e mentre cercavo di spegnere l'incendio per salvare i nostri animali hanno bombardato ancora. E io sono rimasto ferito. Ho perso la mano destra: ora chi me la ridà?", protesta Farid, grande e grosso, indicando il moncherino fasciato.
    Wali fissa le pieghe delle lenzuola, parlando come se fosse in trance. "Riempivo le taniche per irrigare il nostro campo quando sono arrivati i soldati stranieri e mi hanno sparato. Sono caduto a terra e ho alzato una mano per dirgli di non sparare, ma loro hanno fatto fuoco un'altra volta. Dicono che ci vogliono difendere dai talebani e poi sparano a noi civili: bel modo di aiutarci!".
    Abdul, un bellissimo ragazzo dai capelli ricci, ha perso un braccio in un attacco suicida dei talebani a Grishk. "La presenza delle truppe straniere non ci aiuta. Anzi, ci mette tutti in pericolo. L'attentato suicida nel quale sono rimasto ferito non sarebbe avvenuto se nel mio villaggio non ci fossero stati i soldati stranieri".
    "Questi attacchi suicidi che colpiscono anche noi civili sono fatti contro i soldati stranieri", dice Saad agitando l'indice contro il soffitto. "Tutto questo non accadrebbe se loro non ci fossero. Sono venuti promettendoci la pace, ma ci hanno portato solo guerra. In questi otto anni non hanno fatto niente per noi!".

    http://it.peacereporter.net/articolo...vittime+civili



    ma poi mi spieghi quale sarebbe la civiltà superiore?

    però prima di rispondere, ripercorri 2000 anni di storia
    cerco di risponderti senza senza scatenarti impulsi di rabbia...quindi "non ti dirò" che poco mi interessa che loro pensino che starebbero meglio senza l'aiuto occidentale.
    ma ti ricorderò che l'intervento in afghanistan è stato deciso per evitare che vari attentati già programmati in varie località occidentali non andassero a buon fine
  8. #258
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote superciuk ha scritto:
    ma ti ricorderò che l'intervento in afghanistan è stato deciso per evitare che vari attentati già programmati in varie località occidentali non andassero a buon fine
    alla luce di ciò che fin'ora è accaduto ti senti più sicuro?
  9. #259
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote fortitudo ha scritto:
    alla luce di ciò che fin'ora è accaduto ti senti più sicuro?
    un po' sì..
  10. #260
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    Re: Perché in Afghanistan?

    Quote fortitudo ha scritto:
    alla luce di ciò che fin'ora è accaduto ti senti più sicuro?
    quantomeno li tengono impegnati a casa loro...

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