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Discussione: I DISCHI STORICI
  1. #41
     T. Colonnello
     
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote roberto77mds ha scritto:
    oggi mi sento buono e non it insulto

    in questo modo evito anche di spammare in una delle poche discussioni serie di questo forum.

    saluti

    roberto77mds
    ciao bello
    ieri gran serata di arezzo wave... ma perché non ci vieni mai?
    Sparuto minoritario e minimod
    non sono più quello di una volta... soltanto la retorica è rimasta la stessa
  2. #42
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    Re: I DISCHI STORICI

    altro disco fondamentale (di quelli belli dall'inizio alla fine che ti fanno piangere quando arrivialla fine):


    Autore: THE WHO
    Titolo: Who's Next
    Anno: 1971
    Genere: rock
    Etichetta: Track


    La Generazione degli High Numbers, poi The Who, prende forma in prossimita' della meta' degli anni 60. E' l'epoca in cui nella Gran Bretagna imperversano il disincantato beat o il rhythm & blues piu' elettrificato. Gli Who, quattro ragazzotti animati da furie primitive ed espolsioni ormonali, si dilettano a proporre una musica che va contro tutte le regole del periodo, anzi, le prende a cazzotti: musica giovanilistica, ribelle, in senso sia musicale sia sociologico. La band nasce dall'unione di quattro personalità diversissime fra loro: l'intellettuale Pete Townshend alla chitarra, l'atletico bullo di periferia Roger Daltrey, il mite ma carismatico John Entwistle al basso, e il matto per antonomasia Keith Moon alle percussioni.

    La loro energia primitiva si manifesta sotto forma di una carica sensualmente vorticosa verso un rock diversissimo da quello dell'epoca; la loro rabbia verso il sistema, verso il perbenismo imperante, offre una via di fuga dal grigiore quotidiano e un modo nuovo per elevare certi reconditi sogni adolescenziali. E' musica fatta e pensata per una mente giovane, una mente a cui fa quasi paura l'eta' adulta. Il mondo degli adulti viene visto con sguardo intriso di odio e razzistica ribellione, perche' e' esattamente il mondo da cui i quattro cercano di fuggire.

    Fuggire dall'eta' adulta, o per citare un passo della "Loro Generazione", morire prima di raggiungere la maggiore eta', non e' altro che uno stile di vita moderno anticipatore di quel movimento punk che di li' a dieci anni sarebbe esploso in tutta la sua ribollente, sguaiata fragorosita'. I primi album degli Who sono un pugno allo stomaco per tutto il mondo musicale e non. "My Generation" e "Sell Out" fanno esplodere il loro mito. L'ambizioso "Tommy" e' invece la classica prova della maturità. Ma non finisce qui, perché arriveranno l'altro concept "Quadrophenia" e, due anni prima, questo "Who's Next" che testimonia il perfetto equilibrio ormai raggiunto dalla band.

    L'inizio è al fulmicotone con "Baba O'Riley". Il brano, dedicato al santone Indiano Meher Baba e al musicista Terry Riley, prende forma attraverso una introduzione minimalista a base di sintetizzatore pilotato da Townshend: una introduzione che e' pura leggenda, un suono rotatorio che si rincorre infinitamente al fine di ricreare cerchi concentrici sonori; uno stacco imperioso di Moon introduce il cantato regale di Daltrey, che con interpretazione enfatica fa letteralmente spiccare il volo della canzone verso cieli rarefatti contraddistinti dal cantato meditabondo di Townshend. Uno stacco, e la melodia raggiunge il suo climax attraverso un piccolo e azzeccato intermezzo chitarristico; gli stacchi sono precisi e potenti, e' un tuono Moon, e Townshend e' il suo lampo che con i suo squarcianti bagliori sonori illumina e veglia su tanta bellezza. Il finale e' una chicca che stupisce per genio: un assolo di violino che nasce timidamente per poi prendere il largo verso un mare in tempesta fatto di ritmi furibondi.

    La successiva "Bargain" e' una canzone traditrice per il suo inizio dimesso a base di strumenti acustici. Ma e' solo per pochi secondi: presto, infatti, il suono si impenna in uno scoppio di elettricita'. Siamo in territorio prettamente hard, con il furioso rullare di Moon e le "schitarrate" a tutto braccio di Townshend; la parte centrale e' contraddistinta da un mite intermezzo che serve per introdurre un serrato semi-solo di Moon. Una potenza che resta inalterata anche in "Love Ain't For Keeping", brano semiacustico, contraddistinto da richiami di sottofondo da parte di Townshend. La musica degli Who, come questo brano conferma, non perde mai il suo alto concentrato adrenalinico: la batteria e' un lento ma potente incedere, il basso in sottotraccia scava trame incisivamente vigorose, nel complesso la sezione ritmica procede di pari passo creando quella sensazione di "pesantezza" sonora.

    Con "My Wife", è la chitarra sugli scudi, con accordi grezzi e potenti; lo schema ritmico è tambureggiante, ed è un saggio di come Moon fosse capace di improvvise e veloci rullate, a volte anche prolungate, senza mai perdere il filo del discorso del brano stesso. E' un brano tipicamente rock, carico di feeling, ma che non aggiunge niente di particolarmente nuovo ai precedenti. "The Song Is Over" si apre con una timida introduzione pianistica a cura di un grande Nicky Hopkins; su tale leggiadro tappeto sonoro si adagia la voce nasale di Townshend in un cantato tra il sognante e il malinconico; ma basta solo un momento, e il brano si incendia in una esplosione di energia ben supportata da un sempre magistrale Moon; la chitarra elettrica e' ben mixata fra sonorita' in piena distorsione e suoni filtrati molto anni 70. La parte centrale, il cuore della canzone, si ripiega su stessa rileggendo le atmosfere rarefatte di partenza per poi procedere speditamente verso lo scoppiettante finale, in cui sintetizzatori di fondo immergono la canzone in una ricchezza di suono intrisa di molteplici colori, talvolta vagamente psichedelici.

    "Getting In Tune" inizia con una delicata intro pianistica in cui Daltrey si prodiga in un cantato che recupera molte atmosfere di "Tommy", specie per quel clima particolare di "resurrezione". E' un inno potente e coinvolgente, brano tipicamente da stadio, inframezzato da continui cambi di tempo. A tratti il brano mostra venature blues, ma attraverso un concentrato molto "sanguigno"; il finale, invece, e' un vortice tempestoso dove tutti gli strumenti vengono "spremuti" e lasciati correre in piena liberta' al fine di creare un clima da jam in studio.

    Atmosfere gioiose e disincantate segcav. invece "Going Mobile": Townshend riesce a impreziosire la melodia con un cantato a volte innocente, a volte sottilmente ironico; il ritmo si innalza in un inferno percussivo e sublime di Moon, la chitarra acustica si intreccia con quella elettrica, riuscendo a convivere egregiamente. Townshend diventa stellare in "Behind Blue Eyes": stellare e' quel suo arpeggio acustico che proietta la canzone fra le piu' belle struggenti ballate che la musica moderna abbia mai salutato. Dolcezza infinita che corre veloce e leggera sul filo della pelle, malinconia e commozione nella "docile" voce di Daltrey che si specchia negli occhi blu di una musa ispiratrice talmente potente da generare una melodia struggente. Il resto della band, invece, si produce in favolose e insperate (fino ad ora) armonie vocali, con quei controcanti talmente angelici da risvegliare tutti i santi in paradiso. Il lato gentile e agreste dei Who.

    Lunari introduzioni a base di sintetizzatore introducono uno spettacolare Moon nell'epilogo del disco: "Won't Get Fooled Again". Il cantato e' un insieme di tutto quel viscerale, canagliesco modo di fare di cui Daltrey e' maestro; il ritmo e' una immersione tribale verso poliritmie selvaggiamente e meravigliosamente ben bilanciate fra loro. La chitarra nella parte centrale "svisa" attraverso unghiate laceranti e profondissime. Il basso e' complice in tanto ritmo, dipingendo linee pulsanti in modo da far apparire che lo strumento stesso stia per perdere il "filo della ragione" allontanandosi da tutto il contesto musicale, per ricongiungersi ad arte in seguito. "Won't Get Fooled Again" e' il manifesto musicale degli Who e il simbolo di una generazione leggendaria che alberga in questi suoni, rivive, e si rivitalizza, in ogni rullata, in ogni riff o vocalizzo. Potenza di musicisti e di momenti, che non ci sono piu' ma che mai moriranno. Bastera' posare un cd o un vinile sul piatto, e la magia si riprodurra' all'infinito.

    saluti

    roberto77mds
    Roberto "mds" Coia Socio fondatore ToRisiKo!
  3. #43
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    Re: I DISCHI STORICI

    Rainbow Rising (1976)

    Formazione

    Ritchie Blackmore (chitarra)
    R.J.Dio (voce)
    Cozy Powell (batteria)
    Tony Carey (tastiere)
    Jimmy Bain (basso)

    Il capolavoro dei Rainbow qui all'apice assoluto del loro splendore.
    L'album è composto da solo sei pezzi e dura meno di 35 minuti ma quel che si sente è veramente sensazionale, Blackmore-Dio-Powell sono a livelli strepitosi ispirati come non mai, bene anche tastiere e basso, apre Tarot Woman e subito resti incantato, ma dove siamo? magia allo stato puro.....seguono Run with the wolf, Starstruck e Do you close your eyes che sono un tantino sotto rispetto al brano d'apertura ma sempre ad altissimi livelli e si arriva ai due pezzi forti del disco, Stargazer, sono stati scritti fiumi di parole per questo pezzo, ma non ci sono parole, Stargazer è inarrivabile per chiunque ancor oggi...., chiude A light in the black in stile barocco, altro pezzo fantastico che chiude degnamente un album che ha fatto la storia del rock, se non conoscete i Rainbow e avete 30 minuti da perdere....ascoltatelo non ve ne pentirete.
  4. #44
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote minstrel ha scritto:
    Rainbow Rising (1976)

    Formazione

    Ritchie Blackmore (chitarra)
    R.J.Dio (voce)
    Cozy Powell (batteria)
    Tony Carey (tastiere)
    Jimmy Bain (basso)

    Il capolavoro dei Rainbow qui all'apice assoluto del loro splendore.
    L'album è composto da solo sei pezzi e dura meno di 35 minuti ma quel che si sente è veramente sensazionale, Blackmore-Dio-Powell sono a livelli strepitosi ispirati come non mai, bene anche tastiere e basso, apre Tarot Woman e subito resti incantato, ma dove siamo? magia allo stato puro.....seguono Run with the wolf, Starstruck e Do you close your eyes che sono un tantino sotto rispetto al brano d'apertura ma sempre ad altissimi livelli e si arriva ai due pezzi forti del disco, Stargazer, sono stati scritti fiumi di parole per questo pezzo, ma non ci sono parole, Stargazer è inarrivabile per chiunque ancor oggi...., chiude A light in the black in stile barocco, altro pezzo fantastico che chiude degnamente un album che ha fatto la storia del rock, se non conoscete i Rainbow e avete 30 minuti da perdere....ascoltatelo non ve ne pentirete.
    aggiunto all'elenco dei disci consigliati (http://forum.egcommunity.it/showthread.php?t=20130)

    grazie per la recensione

    saluti

    roberto77mds
  5. #45
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    Re: I DISCHI STORICI

    IRON BUTTERFLY

    [IMG] http://forum.egcommunity.it/attachment.php?attachmentid=46343&stc=1(6,9 KB)
    [/IMG]
    Gli Iron Butterfly, formati dall'organista Doug Ingle nel 1966 a San Diego, funsero da trait d'union fra il garage-rock di complessi come Blue Cheer e l'acid-rock di complessi come i Doors. Finirono per essere piu` influenti come precursori dell'heavy-metal, pur conservando la virulenza del garage-rock e la trascendenza dell'acid-rock.



    Il secondo album, In A Gadda Da Vida (Atco, 1968), facente seguito a un cambio di formazione (con il chitarrista Erik Braunn al posto di Danny Weis, passato ai Rhinoceros), divenne uno degli album piu` venduti di tutti i tempi. L'Iron Butterfly Theme che scorazzo` per le spiagge occidentali nel 1968 e` il brano che sanci` il loro successo di pubblico, le vibrazioni californiane piu` tese e guizzanti dell'epoca. Sul disco troneggia una suite di diciassette minuti,
    In A Gadda Da Vida, un eccitante calderone di citazioni: un riff d'attacco alla Cream con improvvisazione collettiva a tema guidata dalla chitarra, un chilometrico e geometricamente proto-disco assolo di batteria a cui si sovrappone una litania ecclesiastica d'organo con variazioni da partita "Bachiana", e al centro il crepitante supersonico lavoro di chitarra con barriti dissonanti, fino al ritorno incandescente del leit-motiv. Quel lungo brano proponeva una sintesi di tribalismi africani e di melodie orientali che degenerava in distorta jam di blues-rock. Fu il primo album di platino della storia del rock, con oltre tre milioni di copie vendute.


    (Translation by/ Tradotto da Claudio Vespignani)
    Ball (1969) e Metamorphosis (1970

    Mi spiace,sono troppo povero per essere comunista. (Ennio Flaiano)
  • #46
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote linosax ha scritto:
    IRON BUTTERFLY

    [IMG] http://forum.egcommunity.it/attachment.php?attachmentid=46343&stc=1(6,9 KB)
    [/IMG]
    Gli Iron Butterfly, formati dall'organista Doug Ingle nel 1966 a San Diego, funsero da trait d'union fra il garage-rock di complessi come Blue Cheer e l'acid-rock di complessi come i Doors. Finirono per essere piu` influenti come precursori dell'heavy-metal, pur conservando la virulenza del garage-rock e la trascendenza dell'acid-rock.



    Il secondo album, In A Gadda Da Vida (Atco, 1968), facente seguito a un cambio di formazione (con il chitarrista Erik Braunn al posto di Danny Weis, passato ai Rhinoceros), divenne uno degli album piu` venduti di tutti i tempi. L'Iron Butterfly Theme che scorazzo` per le spiagge occidentali nel 1968 e` il brano che sanci` il loro successo di pubblico, le vibrazioni californiane piu` tese e guizzanti dell'epoca. Sul disco troneggia una suite di diciassette minuti,
    In A Gadda Da Vida, un eccitante calderone di citazioni: un riff d'attacco alla Cream con improvvisazione collettiva a tema guidata dalla chitarra, un chilometrico e geometricamente proto-disco assolo di batteria a cui si sovrappone una litania ecclesiastica d'organo con variazioni da partita "Bachiana", e al centro il crepitante supersonico lavoro di chitarra con barriti dissonanti, fino al ritorno incandescente del leit-motiv. Quel lungo brano proponeva una sintesi di tribalismi africani e di melodie orientali che degenerava in distorta jam di blues-rock. Fu il primo album di platino della storia del rock, con oltre tre milioni di copie vendute.


    (Translation by/ Tradotto da Claudio Vespignani)
    Ball (1969) e Metamorphosis (1970
    grazie per il contributo linosax, aggiungo il disco nell'indice.

    saluti

    roberto77mds
  • #47
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote roberto77mds ha scritto:
    grazie per il contributo linosax, aggiungo il disco nell'indice.

    saluti

    roberto77mds
    wow...ma quale estremo piacere!!!
    Pensavo non esistessi
    scherzo...lo so gli impegni
  • #48
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote linosax ha scritto:
    Pensavo non esistessi
    esisto, esisto.

    ma vedo che fai parte di quel gruppo sfigato delle superpippe, quand'è che diventi rokkettaro?

    saluti

    roberto77mds
  • #49
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    Re: I DISCHI STORICI

    Quote roberto77mds ha scritto:
    esisto, esisto.

    ma vedo che fai parte di quel gruppo sfigato delle superpippe, quand'è che diventi rokkettaro?

    saluti

    roberto77mds
    WOW!!! Grazie
  • #50

     Thumbs up Re: I DISCHI STORICI

    Quote roberto77mds ha scritto:
    esisto, esisto.

    ma vedo che fai parte di quel gruppo sfigato delle superpippe, quand'è che diventi rokkettaro?

    saluti

    roberto77mds

    Le Superpippe non sono un gruppo sfigato.....abbiamo una cultura musicale di prim'ordine.
    Per dimostrartelo sto preparando un 3D sulla storia di Toto Cutugno , una delle massime espressioni della storia del Pop mondiale.



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