Tornano i Portishead
Dopo dieci anni di silenzio è da poco stato pubblicato "Third", terzo lavoro ufficiale dell'oscura band di Bristol che con i precedenti dischi si è in breve tempo imposta come caposaldo del Trip Hop mondiale
I Portishead sono senza dubbio una delle realtà che più hanno influenzato la musica degli ultimi anni pur rimanendo in un certo senso al di fuori di tutta l'industria musicale: refrattari ai concerti e all'esposizione pubblica, poco inclini al compromesso, s'impongono come punto di riferimento (i loro lavori hanno fatto praticamente scuola) con due dischi all'attivo fino ad ora (escluso un live) ed un terzo in uscita. E fanno di parte di quelle realtà artistiche (viene in mente il percorso di Bjork) dove il debutto coincide con intenti e sonorità che sono già marchio di fabbrica.
Quando nel 1994 viene dato alle stampe "Dummy", il loro disco d'esordio, il successo è praticamente immediato e mondiale: "Glorybox", quella che resta la loro canzone più nota, viene suonata da ogni radio riuscendo ad ottenere l'attenzione di un pubblico vastissimo pur evitando qualsiasi ammiccamento. Il disco risente delle esperienze cinematografiche della cantante Beth Gibbons e il mago dei suoni nonché polistrumentista Geoff Barrow. Non a caso il primo lavoro del duo è il cortometraggio "To kill a dead man", del quale curano una colonna sonora che contiene già quello che sarà il suono caratteristico dei Portishead: atmosfere cupe e stranianti, corredate da testi acidi e visionari. Anche la collaborazione con il chitarrista jazz Adrian Utley lascerà un impronta decisiva. "Dummy" vince l'ambitissimo Mercury Music Prize nel 1995 ma non servirà a dissuadere i Portishead a battere il ferro ancora caldo. Il gruppo mantiene l'atteggiamento schivo e ritroso e, invece di sfruttare la scia del successo del primo disco, sparisce per tre anni prima di pubblicare il secondo lavoro che si intitola semplicemente "Portishead".
Il secondo disco raccoglie le radici della band riprendendo il discorso iniziato con la colonna sonora di "To kill a dead man": le atmosfere sono quelle delle spy-story anni '60 e degli spaghetti western, sapientemente mescolate con le sonorità che hanno contribuito a rivoluzionare il mondo della musica elettronica moderna. Non a caso, in tempi non sospetti, Geoff Barrow si era ritrovato a collaborare con un collettivo in cui militavano personaggi come Tricky, o signori che di li a poco sarebbero divenuti noti sotto il nome di "Massive Attack". Il movimento in questione sarebbe stato raccolto sotto il nome di Trip Hop, del quale i Portishead restano tra i più acclamati precursori. La loro forza maggiore risiede nel fatto di mescolare vecchia e nuova scuola, e di avvalersi di musicisti in apparente contrasto con la direzione del gruppo. Più che di band, infatti, per i Portishead si può parlare di ensemble: molto spesso i brani nascono su materiale che la Gibbons e Barrow si scambiano via mail e sul quale lavorano a distanza.
Qualche anno fa l'album solista della Gibbons, "Out of season", lasciava presagire la fine dell'avventura Portishead, forte ed impetuosa come molte delle cose che rappresentano una immediata rottura: a sorpresa invece è stata da poco annunciata la pubblicazione di "Third", terzo lavoro ufficiale del gruppo in studio a distanza di dieci anni dal secondo, del quale è possibile ascoltare un estratto su un myspace ad esso appositamente dedicato (http://www.myspace.com/PORTISHEADALBUM3). Il singolo apripista, "Machine Gun", è l'ennesima dichiarazione d'intenti del gruppo, che costantemente vuole una "selezione all'ingresso" a precedere ogni nuovo disco in uscita, e che puntualmente attira milioni di curiosi d'ogni età in tutto il mondo.
Portishead a Firenze
folk futurista e punk istruito
esplodono nella voce graffiante di Beth Gibbsons
Beth Gibbons
Beth Gibbons
FIRENZE (1 aprile) - Portishead capitolo terzo. Terzo capitombolo nell’abisso, stavolta del nuovo millennio. Il trio di Bristol, dopo il sold out di Milano, ieri ha riempito il teatro Saschall di Firenze con il suo guazzabuglio trip-hop, fatto di campionamenti, suoni vintage, moog, scratch, fischi spettrali, linee vocali disarmanti.
Un’introduzione strumentale di due minuti e su Silence la scena è di Beth Gibbons, esile figura arroccata sul microfono, personaggio schivo e dalla voce drammaticamente bella. Tante le sue domande nei testi e mai una risposta. Avvolta in un cono di luce bianca strazia, rimanendo composta, perché la sua disperazione è nelle corde vocali, non altrove, e interviene nelle trame dei compagni: il costruttore di suono Geoff Barrow e il chitarrista Adrian Utley, ai quali si affiancano un basso e due batterie.
Ben sei gli estratti da quel capolavoro che fu Dummy: Mysterions, su cui i fasci di luce diventano verde acqua, Glory Box (la sua lenta discesa è la più famosa del repertorio), Numb, Wandering star, in una versione senza batteria, sospesa, mai partita eppure arrivata, con la Gibbons lasciata sola a finire il suo requiem. In Sour Times e Roads la platea si sgola fino a colmare undici anni di silenzio.
Tre i brani che attingono da Portishead (Only you, le coordinate galattiche di Cowboys, Over), il resto è il flusso schizofrenico di Third, il disco in uscita ad aprile che gli scaricatori di rete più accaniti conoscono, ma gran parte del pubblico ascolta per la prima volta, ad esclusione del singolo Machine gun, marcetta di regime con mitragliate elettroniche.
Difficile definire il nuovo lavoro: un hip hop malato, un punk istruito, un rock sintetizzato, un folk futurista? Non si sa, è incantabile e per certi versi incantevole, e il live ha il pregio di farlo diventare più caldo e maneggevole.
Quel che è certo è che la differenza, dal 1994 a oggi, si sente. Prima la base era plumbea e Beth Gibbons assecondava la corrente, ci galleggiava con melodie soffici e soffocate. Ora, fuori dal limbo, il fondale si è fatto ossessivo, anzi vi giacciono esasperazioni sonore, mentre in superficie la voce guizza da ogni lato, cerca aria, non si lascia trasportare. Tutto è un tentativo di fuga, dall’armonia, dalla melodia, dagli schemi. E il concerto è strabiliante, un viaggio in cui non si sa se ci trova in chiesa, dentro il gioco di Silent Hill, in un rave, in un film di Hitchcock.
Il saluto finale è su We carry on, perfetta rappresentazione della nuova dimensione che i Portishead raccontano: un mondo tecnologico dove l’uomo cerca di non trasformarsi in robot.
Domenica sera ero al loro concerto all'Alcatraz di Milano.....GRANDIOSI!!!!ceek ha scritto:
Grandiosa anche la partecipazione del pubblico.
Duranti i pezzi mitici come Sour Times, Glory Box e Roads molti (soprattutto ragazze) intorno a me sono svenuti.....
Tornando al Risiko.....domenica pomeriggio ho fatto anche un salto a Fiera Milano City. Con un unico biglietto ingresso si visitava la fiera della birra (very good ) e la fiera del fumetto & gioco dove ho avuto il piacere di parlare di RD2 con un responsabile della Kalicanthus (esponevano di fianco a EG).
oriundo ha scritto:
Grande!! Anche a Firenze un paio di personenon hanno retto e son stramazzati al suolo!!!
Anche se non è il concerto di Milano, nè quello di Firenze, questo è un po' di quello che ci siamo vissuti il 30 e 31!!!
Semplicemente Meravigliosi!!!
[TUBE]http://www.youtube.com/v/J0oTPrxHE80&hl=it[/TUBE]
Firenze
Apertura
[TUBE]http://www.youtube.com/v/lxZ0s593ro4&hl=it[/TUBE]
Ero a Firenze con la mia ragazza. Un concerto memorabile a dir poco...
In fede,
Kofi Annan
Segretario Generale del CastelliRisiko!Club
Ciao Kofi, te dove eri messo?? io di fronte al mixer centralissimo!!_Kofi_ ha scritto:
Avevo i piedi sul Multicore!!!
E' stato fantastico vero?
...a parte il gruppo iniziale, li avrei sparati!!!
Noi eravamo alla 5° fila sotto il palco, un po' spostati a destra. A pochi metri da Beth Gibbons insomma. A me il gruppo iniziale non è dispiaciuto, se non fosse che erano un po' monotoni.
Infatti, avevo una voglia di sentirli che dopo un po' m'avevano rotto, comunque concordo, non erano male!!_Kofi_ ha scritto:
Ho trovato i video di Firenze!!