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Discussione: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko
  1. #21
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote SunTzu540ac ha scritto: Visualizza il messaggio
    Nei club ci si avvicina per la passione verso questo gioco ..e quindi l'approccio è sicuramente diverso si crea rapporto più umano che ha ragione di esistere solo in funzione del rispetto reciproco ..ma resta importante il modo di porsi al gioco ed alle persone.
    Quote SunTzu540ac ha scritto: Visualizza il messaggio
    Sicuramente serve tempo ..affinchè se ne abbia miglior comprensione ed affinarne le messe in pratica ..ma è il singolo nella sua unicità che la pone in essere.
    Sottolineo queste 2 frasi di suntzu perchè mi ci ritrovo.
    Non esistono manuali di comportamento al tavolo se una persona, di base, è incapace di interagire in maniera serena con le altre persone e con un gioco.
    Non è togliendo la competitività che si risolvono i problemi.
    Personalmente mi piacciono le strade più difficili, quindi vada pure l'essere ipercompetitiva e ambire al primo posto sempre e comunque, senza mai perdere il rispetto per le altre persone.

    E ogni individuo è unico...
    Per questo più che leggere manuali mi piace pensare che la formazione avvenga soprattutto sul campo e con l'esperienza... ogni giocatore sviluppa un proprio modo di giocare in base alla sua visione e alla strategia che ritiene opportuna.
    Non sto scartando a priori l'esperimento di Lucio, sia chiaro. Sono convinta che in ogni ambito si possa e si debba testare qualche approccio diverso. Ma come l'individuo è unico anche ogni realtà ludica (mi riallaccio a Momo) è unica..
    quindi non è detto che un metodo con in un club X funziona al 100%, sia congeniale anche alla realtà Y.
  2. #22
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote SunTzu540ac ha scritto: Visualizza il messaggio
    I limiti di questo gioco sono l'ego e l'egoismo. Il livello dei giocatori si alza solo attraverso la condivisione ed il confronto che entra nel merito delle scelte.
    La vera vittoria stà li ..nel percorso che si compie per ottenerla con gli altri ed attraverso gli altri ..il risultato finale non ha importanza nel game appena concluso
    la sua importanza trova senso nel divenire ..perchè a quello si tende ..giocare per vincere ..tempo presente proiezione futura
    Buondì

    Sono d'accordo più o meno con tutto quello che dici, ma è soprattutto su quest'ultimo pezzetto che vorrei fermarmi perché hai centrato quello che anche secondo me è il cuore del problema.

    Il principale "spettro" che infesta e avvelena il gioco del Risiko è proprio l'egoismo, e non certo a caso, visto che è il problema principale delle società contemporanee - e lo dico da nota egocentrica.

    Egocentrismo ed egoismo non sono la stessa cosa. L'ego ce l'abbiamo tutti, è quanto ci rende umani: è il senso del sé, la capacità di narratizzare la propria vita. Tuttavia è un traditore, un verme in una mela, una funzione che rischia di diventare antisociale, quando si mette a gridare Io, Io voglio vivere! Bruci pure il mondo purché io viva!!.

    Ecco, lì abbiamo un problema. E infatti, a mio parere il problema principale della cosiddetta "società occidentale" è proprio questo spostamento di prospettiva che adesso considera l'ego, invece che uno strumento del cervello prezioso, ma pericoloso, che deve essere disciplinato (attraverso codici etici, miti e religioni, che sarebbero nate proprio a questo scopo), un vero e proprio idolo, un valore, un merito e un vanto da preservare a ogni costo.
    E non a caso stanno uscendo fuori mostri. Come QUALSIASI fiaba, mito, testo sacro, o classico di strategia confermano, lasciato libero di spadroneggiare l'Ego diventa una belva feroce, e lo scopo della vita diventa rimpinzare questa belva, a discapito di tutto e di tutti.

    Succede anche nel Risiko, ma semplicemente perché è un gioco, dove si ritrovano e si rispecchiano dinamiche sociali e culturali reali.

    Proprio per questo ritengo che il processo possa essere "invertibile", e che il Risiko possa diventare un'eccellente "palestra" per tenere a bada l'ego anziché per pomparlo, così come per elaborare forme creative e cooperative di risoluzione di conflitti sociali, anziché per fomentarle.

    Ma per fare questo, dovrebbe essere giocato con una prospettiva cooperativa, anziché competitiva: al club, a mio parere, bisognerebbe andare a giocare per IMPARARE a PERDERE, non per IMPARARE a VINCERE.

    Rilancio quindi la stessa domanda di Andy:

    Quote andycole ha scritto: Visualizza il messaggio
    Quindi vi chiedo é più semplice imparare a giocare o é più semplice far capire a chi si approccia a questo gioco che si deve imparare ad accettare la sconfitta prima di gustarsi la meritata vittoria?

    Per me, e parlo per me, imparare a perdere è stato difficilissimo. Ancora adesso, la scimmia dell'ego ("devi vincere!", "devi vincere!") che mi sussurra all'orecchio la sento.

    Che accorgimenti personali ho elaborato per tenere a bada la scimmia?

    Un paio di esempi:

    - Non giocare quando sono di pessimo umore o particolarmente nervosa. Se sono stanca e incazzata, a giocare non ci vado. Al max vado al club e mi bevo una birra in compagnia studiando le partite altrui.

    - Stare lontano dai tornei interni. Il massimo che riesco a tollerare è il ranking annuale e già quello mi infastidisce.

    - Se mi sto icaz.zando a un tavolo, chiedere 10 minuti di pausa e fare un paio di esercizi di mindfulness.


    Non sarebbe un "programma ludopatia" difficile da seguire, senonché diventa di fatto impraticabile in un club dove a fine partita l'unica cosa di cui si parla a fine partita è l'effetto che la sconfitta o la vittoria X avranno sulla classifica e a marzo già si discute su chi andrà al CNS a novembre. A Terni mi hanno proposto di fare il ghost vivente ad libitum e "Jesoo! Finalmente!" è la prima cosa che ho pensato.

    Il mio ego è mio ed è giusto che me lo gestisca io; mi inquieta tuttavia la presenza evidente di ludopatici megalomani più o meno gravi, che si aggirano per questo gioco convinti non solo di essere normali, ma che "fare il bullo" sia un diritto inalienabile del cittadino.

    Si dialoga. E si dialoga camminando; via via. No? Scrivere; e poi leggere. Ricordi, amico mio? Si racconta che le lettere dell'alfabeto furono inventate da Mercurio, capostipite e nonno di bugiardi e re dei ladri, vedendole nel volo delle gru. Uno scherzo, non credi? (in tua memoria, Picchi)
  3. #23
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Ma è bellissimo, è dalla notte dei tempi che non si faceva una discussione decente in questo forumme, grazie ancora Margherita.
    Per fare una sintesi molto ristretta (un distillato), due sono le esigenze: avere nuovi adepti e giocare divertendosi ad ogni partita.
    Mi piace che finalmente l'argomento venga trattato perchè io non sono contento di come vanno le cose attualmente. Mi ricordo i lontani tempi in cui molti si lamentavano che, per formare una stanza, si aspettava anche più di un'ora; ovviamente mi riferisco alle poche partite di torneo allora esistenti. E' stata fatta la scelta di aumentare i partecipanti con il nuovo metodo dell'accredito diretto; ora vi chiedo: c'è qualcuno dei "vecchi" che è contento di questa scelta? Io no. Sono ansioso di leggere i suggerimenti de "Li Draghi" e spero che venga adottato un sistema che migliori il gioco; cerchiamo di soddisfare (o quantomeno tendere a) la seconda esigenza. Un gioco non è un gioco se non ci si diverte.
    giacomo lazzari
  4. #24
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Però scusate, ma in questo momento mi sta un po' surgendo un dubbio...

    Stiamo parlando ancora di semplici Club di RisiKo? o parliamo di Centri Sociali?
    Perchè per me non sono la stessa cosa...

    Rileggendo il punto 3 di Lucio e soprattutto avendo avuto modo di sentire da lui cosa gli piacerebbe fare al club, so che il suo proggetto è ampio, va oltre il risiko. Si tratta di creare un vero e proprio punto di incontro per la comunità che quindi oltre a risiko si occupa anche di altro...
  5. #25
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote spappara ha scritto: Visualizza il messaggio
    Non sto scartando a priori l'esperimento di Lucio, sia chiaro. Sono convinta che in ogni ambito si possa e si debba testare qualche approccio diverso. Ma come l'individuo è unico anche ogni realtà ludica (mi riallaccio a Momo) è unica..
    quindi non è detto che un metodo con in un club X funziona al 100%, sia congeniale anche alla realtà Y.
    Ciao Barbara, ti do perfettamente ragione, siamo unici come persone e unici come club ma può essere che tra noi e i nostri gruppi di giocatori diventiamo interscambiabili, almeno nelle esperienze.
    Se è vero che nessun esperimento vada scartato a priori è altrettanto logico che non vada copia-incollato nella propria realtà così come ci viene esposto.
    Può esserci però una via di mezzo e nel momento in cui un club condivide il suo "metodo" avendo ottenuto sopratutto dei risultati allora va almeno preso in considerazione, analizzato e ascoltato.
    Magari, in quel di Terni o di Verona c'è un qualcosa della loro routine di club di cui Siracusa o Capalbio avevano bisogno (RCU presi a caso naturalmente).
    "Le chiaviche della mia stanza sono anche le tue!" (cit)
  6. #26
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote spappara ha scritto: Visualizza il messaggio

    Stiamo parlando ancora di semplici Club di RisiKo? o parliamo di Centri Sociali?
    Perchè per me non sono la stessa cosa...
    Ehm... tecnicamente lo sono.

    1. "club" è una parola inglese il cui primo significato in italiano è "associazione"

    2. "associazione" nel dizionario italiano è "un'unione di persone che si propongono di perseguire uno scopo comune". http://www.treccani.it/vocabolario/associazione/

    3. L'uso del termine inglese "club" di solito sottoindende la presenza di un tesseramento, e di un luogo (fisico o virtuale) dove l'unione di persone si riunisce per perseguire il suddetto scopo comune.

    3. "centro sociale" significa di fatto "luogo di aggregazione sociale".


    ...ergo sono la stessa cosa. Un club di risiko è un "centro", un "luogo" sia fisico che virtuale dove persone si riuniscono in associazione nel per perseguire uno scopo comune, che nel caso specifico è "giocare a Risiko".

    Il punto è stabilire cosa significhi "giocare a Risiko". Per te significa "picchiarsi il più possibile seguendo il valore dell'ipercompetitività"?

    E' di certo una visione possibile. Lo è anche "giocare insieme cercando di ricordarsi che le scopo non è vincere ma divertirsi tutti il più possibile".

    ...ecco, per me quest'ultimo assomiglia di più a quello che è, nei fatti, il gioco della vita. Che nessuno di noi può vincere, scusate se mi permetto un memento mori che so che sono antipatici.

    Lo scopo della vita non è battere la morte. E' vivere.

    Lo scopo del gioco non è vincere. E' giocare divertendosi. Se si gioca in 4, più TUTTI si divertono (non solo il vincitore) più la partita è ben riuscita.

    IMHO
  7. #27
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    ciao a tutte e tutti. Sono nuova di questo forum, così come lo sono nel mondo del Risiko! Gioco nel club di Terni da questa primavera (la prima partita è stata a pasqua) e per me questo è un mondo del tutto nuovo non essendomi mai prima d'ora appassionata a nessun gioco in particolare e non amando giocare al pc... al massimo era una partita a scopone scientifico con gli amici qualche sera.
    Sono arrivata per puro caso al club di Terni e ora lo vivo come una famiglia allargata. Con la voglia d stare insieme

    Mi ritrovo in molte cose dette da Margherita (che ho conosciuto e che stimo per quanto scrive), da Lucius e Marcella perchè, semplicemente, è quello che a Terni si sta cercando di mettere in pratica e quello che a Terni succede.
    Arrivando da neofita (l'ultima partita al Risiko tradizionale l'avrò fatta 25 anni fa...) per me è stata una scoperta quella dell'approccio sociale alla serata. E dico SERATA apposta, perchè il fine ultimo non è quello della vittoria alla partita, ma quello di passare una bella serata in una comunità dove anche sulla plancia si rivive il proprio essere comunità.

    La formazione è stata in questo caso fondamentale e, come in ogni altra cosa, anche il momento formativo vive e si nutre dei rapporti comunitari che si vengono a creare. Da parte mia c'è stata la consapevolezza del non sapere e del voler imparare, dall'altra c'è stata la disponibilità alla spiegazione (a volte meramente tecnica, a volte di visione d'insieme). Alla base di tutto c'è stato il rispetto e la volontà al confronto. Pian pianino sto migliorando e la sensazione del 'bhe, incomincio a giocare in maniera decente' non è dettata dalla vittoria o dalla classifica (che raramente guardo), ma dal fatto di iniziare a comprendere e riuscire a confrontarmi su quello che è avvenuto in plancia.
    Questa è semplicemente la mia piccolissima esperienza e devo ammettere che mi stupisce il sapere che altre realtà non siano così. Ma questo, credo, sia inevitabile perchè ogni comunità vive la sua esperienza in maniera completamente differente per tantissime motivazioni diverse, però credo che una serata al Covo (la sede dove giochiamo) sia sempre una bella serata da venire a provare.

    Penso, per concludere, che l'ego sia una brutta bestia da tenere e bada (perchè è normale che ci sia così come dovrebbe essere normale cercare di tenerlo a basa -w la corteccia prefrontale!-) e che la grane famiglia del Risiko! possa essere un ottimo specchio da una parte (in fondo si gioca come si è) e un ottimo strumento per provare a fare qualcosa per se sessi e per gli altri.
    Ringrazio chi mi ha accolto e aiutato a comprendere questo mondo e chi si confronta ogni giorno ascoltando e argomentando
  8. #28
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote momocao ha scritto: Visualizza il messaggio
    Ciao Barbara, ti do perfettamente ragione, siamo unici come persone e unici come club ma può essere che tra noi e i nostri gruppi di giocatori diventiamo interscambiabili, almeno nelle esperienze.
    Se è vero che nessun esperimento vada scartato a priori è altrettanto logico che non vada copia-incollato nella propria realtà così come ci viene esposto.
    Può esserci però una via di mezzo e nel momento in cui un club condivide il suo "metodo" avendo ottenuto sopratutto dei risultati allora va almeno preso in considerazione, analizzato e ascoltato.
    Magari, in quel di Terni o di Verona c'è un qualcosa della loro routine di club di cui Siracusa o Capalbio avevano bisogno (RCU presi a caso naturalmente).
    Non ho detto che non vada ascoltato.. e se hai letto ho scritto anche che è giusto testare nuovi approcci ..
    Sto seguendo e man mano mi pongo dei dubbi e delle domande e come in tutte le cose possono venirmi delle obiezioni.
    Essenzialmente quando facciamo formazione, giusto per riallacciarmi a uno degli argomenti base, ci vengono trasferite diverse nozioni e/o metodi... però sta a noi poi rielabolarli e riadattarli alla nostra personalità o al nostro ambiente.
  9. #29
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Ciao a tutti, i miei 2 cent sull'argomento:

    Secondo me nel RisiKo! una persona passa attraverso una evoluzione personale che si somiglia un po' con la ricerca di se stessi che bisogna fare nel gioco degli scacchi (che in realtà sono molto più elevati e probabilmente non sono nemmeno un gioco), e che si somiglia in realtà a qualsiasi realtà ludica a cui una persona si avvicina. In particolare ciascuno dovrebbe chiedere a se stesso che viaggio sta facendo, chi è lui, in modo da eliminare le voci esterne e rimanere con ciò che è invece l'essenza del gioco.

    In particolare è vero che ci si può dividere in due categorie (chi gioca per il semplice divertimento, chi gioca per vincere e basta) ma io sono convinta che bisogna, con l'approccio scientifico, aggiungere la terza categoria e fare in modo che sempre più persone ci si avvicinano, ovvero chi gioca perché si appassiona al gioco e vede la sua bellezza.

    Nella maggior parte dei casi le mosse del RisiKo vengono viste come mosse buone o non buone, danneggianti l'avversario, cattive, sbagliate, molto altro, ma mai come belle o migliori.

    Quando si impara ad amare un gioco come il RisiKo secondo me è inevitabile che si debba evolvere personalmente, poiché tutte le fasi della rabbia, della mancanza di senso quando si viene sconfitti, della tristezza, delle esagerate gioie nella vittoria, delle amicizie perdute e tutto il resto, è perché in realtà ci siamo dimenticati del nostro punto di partenza principale, ovvero: "QUESTO GIOCO E' BELLO, COME MI PIACE GIOCARE! E CHE BELLA MOSSA HAI FATTO!"

    Se riuscissimo a tornare a questa origine, ogni pezzo andrebbe velocemente al suo posto. Sostituiamo il godimento per le mosse, l'approfondimento della statistica, gli studi su come utilizzare uno o un altro obiettivo, la bellezza di avere per le mani una posizione da analizzare con un molto più becero confronto di emozioni e di personalità quando, in realtà, ognuna di queste cose dovrebbe arricchirci.

    Quando ho capito questo (che non avevo capito) ho dimenticato immediatamente le persone con cui stavo giocando e ho cominciato a giocare con la plancia. A bearmi di quelle posizioni complicate in cui mi trovavo, a pensare a come potevo farcela a creare ancora qualcosa di interessante per me, a chiedermi quali vantaggi ho e come posso sfruttarli, e le domande automaticamente sono diventate belle, piene, divertenti, e non più sterili o basate sugli altri "speriamo che quello faccia così speriamo che non mi giri le carte addosso, perché hai girato le carte lì" ma basate solo su me stessa e sulla semplice domanda "Qual è la mossa migliore che IO posso fare con quello che ho in questo momento? Come mi piacerebbe cambiare la plancia?" e poi dunque applicarle.

    Con ciò non dico che le emozioni non c'entrino ma chi le controlla e le gestisce meglio di solito vince di più, o comunque riesce a viaggiare sulle emozioni degli altri che in generale ci fanno fare uno o più errori in una partita (perché analizziamo male per causa delle emozioni, questo accade in TUTTI i giochi).

    Chiunque abbia passione per il gioco del Risiko capirà che sto parlando di qualcosa di cui si è entusiasti e di cui nella maggior parte dei casi ci si riempie, si porta a casa una serata in cui qualcosa alla fine si è fatto.

    E io sono convinta al cento per cento che serate didattiche, discussioni, test in plancia (quanti ne abbiamo fatti) foto di posizioni di cui si discute anche fino a dopodomani (senza magari che una risposta giusta ci sia) siano tutti parte di quel progetto in cui ci dimentichiamo che una mossa ci danneggia, in cui ci dimentichiamo che quello lì che è al tavolo con noi proprio non lo sopportiamo, ma ci godiamo il viaggio lungo 90 minuti che è quella partita, selezionando le nostre emozioni perché diamo la precedenza alla passione, che è quello che ci trasmettiamo l'uno con l'altro.

    Se riusciamo a far vedere questa bellezza anche a chi è "ludopatico", a chi ha voglia di mangiarsi il neofita, e a tutti gli altri, sono convinta che ci ritroveremo in un mondo in cui sarà il gioco a vincere, e di conseguenza il divertimento e la voglia di cominciare un altro viaggio, e non quella di andarcene per 10 anni salvo poi ricordarci che quella droga proprio ci piaceva, è il caso di spararcene un'altra dose...?

    Io dico che ci siamo un po' persi, forse probabilmente ci siamo dimenticati di quello che era bello e che ci univa, di quella passione per il gioco che io per prima ho tanto amato, e dovremmo cominciare a ricordarcelo.

    Au revoir.
    Valeria Ferrara ( We will Rock You! )
    - Voglio costruire qualcosa che viva più a lungo di Me.

  10. #30
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    Re: L’arte della guerra: per un approccio filosofico-scientifico al Gioco del Risiko

    Quote delaunay ha scritto: Visualizza il messaggio
    Ehm... tecnicamente lo sono.

    1. "club" è una parola inglese il cui primo significato in italiano è "associazione"

    2. "associazione" nel dizionario italiano è "un'unione di persone che si propongono di perseguire uno scopo comune". http://www.treccani.it/vocabolario/associazione/

    3. L'uso del termine inglese "club" di solito sottoindende la presenza di un tesseramento, e di un luogo (fisico o virtuale) dove l'unione di persone si riunisce per perseguire il suddetto scopo comune.

    3. "centro sociale" significa di fatto "luogo di aggregazione sociale".


    ...ergo sono la stessa cosa. Un club di risiko è un "centro", un "luogo" sia fisico che virtuale dove persone si riuniscono in associazione nel per perseguire uno scopo comune, che nel caso specifico è "giocare a Risiko".

    Il punto è stabilire cosa significhi "giocare a Risiko". Per te significa "picchiarsi il più possibile seguendo il valore dell'ipercompetitività"?

    E' di certo una visione possibile. Lo è anche "giocare insieme cercando di ricordarsi che le scopo non è vincere ma divertirsi tutti il più possibile".

    ...ecco, per me quest'ultimo assomiglia di più a quello che è, nei fatti, il gioco della vita. Che nessuno di noi può vincere, scusate se mi permetto un memento mori che so che sono antipatici.

    Lo scopo della vita non è battere la morte. E' vivere.

    Lo scopo del gioco non è vincere. E' giocare divertendosi. Se si gioca in 4, più TUTTI si divertono (non solo il vincitore) più la partita è ben riuscita.

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