Su Limina scrivo dell'ultima stupenda trilogia fantasy di Joe Abercrombie:
La scrittura fantastica di Joe Abercrombie aveva tre caratteristiche principali riconoscibili: l’ironia, la capacità tecnica sopraffina, il grimdark (ovvero il fantasy brutto, sporco e cattivo ad alto tasso di violenza e a basso tasso di magia) piuttosto spinto. Poi è arrivata l’ultima trilogia – ambientata nello stesso mondo (classicamente medievaleggiante con qualche coloritura rinascimentale) della trilogia de La prima legge, di cui costituisce il seguito (una generazione umana separa le due vicende) – ovvero L’età della follia ed è successo qualcosa di imprevisto (in qualche modo già lievemente accennato e prefigurato nei volumi singoli intermedi: The heroes e Il sapore della vendetta), che costituisce una cesura non solo nell’opera sua, ma anche – più significativamente – nell’evoluzione del genere fantastico: l’irruzione del protagonismo assoluto della storia intesa come progresso (nello specifico la rivoluzione della stampa, la rivoluzione finanziaria, la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese), della parodia e del carnevale. Per il tramite di quest’ultimo è riuscito inoltre ad accedere poderosamente – già prima ce n’erano elementi – alla cultura popolare (in senso forte e bachtiniano) in un modo tanto genuino e felice che chi s’azzardasse ad affermare che l’ultima fase della sua produzione deve più (stilisticamente) a Rabelais che a Tolkien e Martin, forse esprimerebbe un’iperbole, ma non andrebbe troppo lontano dal vero.