Buondì
Sono d'accordo più o meno con tutto quello che dici, ma è soprattutto su quest'ultimo pezzetto che vorrei fermarmi perché hai centrato quello che anche secondo me è il cuore del problema.
Il principale "spettro" che infesta e avvelena il gioco del Risiko è proprio l'egoismo, e non certo a caso, visto che è il problema principale delle società contemporanee - e lo dico da nota egocentrica.
Egocentrismo ed egoismo non sono la stessa cosa. L'ego ce l'abbiamo tutti, è quanto ci rende umani: è il senso del sé, la capacità di narratizzare la propria vita. Tuttavia è un traditore, un verme in una mela, una funzione che rischia di diventare antisociale, quando si mette a gridare
Io, Io voglio vivere! Bruci pure il mondo purché io viva!!.
Ecco, lì abbiamo un problema. E infatti, a mio parere il problema principale della cosiddetta "società occidentale" è proprio questo spostamento di prospettiva che adesso considera l'ego, invece che uno strumento del cervello prezioso, ma pericoloso, che deve essere disciplinato (attraverso codici etici, miti e religioni, che sarebbero nate proprio a questo scopo), un vero e proprio idolo, un valore, un merito e un vanto da preservare a ogni costo.
E non a caso stanno uscendo fuori mostri. Come QUALSIASI fiaba, mito, testo sacro, o classico di strategia confermano, lasciato libero di spadroneggiare l'Ego diventa una belva feroce, e lo scopo della vita diventa rimpinzare questa belva, a discapito di tutto e di tutti.
Succede anche nel Risiko, ma semplicemente perché è un gioco, dove si ritrovano e si rispecchiano dinamiche sociali e culturali reali.
Proprio per questo ritengo che il processo possa essere "invertibile", e che il Risiko possa diventare un'eccellente "palestra" per tenere a bada l'ego anziché per pomparlo, così come per elaborare forme creative e cooperative di risoluzione di conflitti sociali, anziché per fomentarle.
Ma per fare questo, dovrebbe essere giocato con una prospettiva cooperativa, anziché competitiva: al club, a mio parere, bisognerebbe andare a giocare per IMPARARE a PERDERE, non per IMPARARE a VINCERE.
Rilancio quindi la stessa domanda di Andy:
Per me, e parlo per me, imparare a perdere è stato difficilissimo. Ancora adesso, la scimmia dell'ego ("devi vincere!", "devi vincere!") che mi sussurra all'orecchio la sento.
Che accorgimenti personali ho elaborato per tenere a bada la scimmia?
Un paio di esempi:
- Non giocare quando sono di pessimo umore o particolarmente nervosa. Se sono stanca e incazzata, a giocare non ci vado. Al max vado al club e mi bevo una birra in compagnia studiando le partite altrui.
- Stare lontano dai tornei interni. Il massimo che riesco a tollerare è il ranking annuale e già quello mi infastidisce.
- Se mi sto icaz.zando a un tavolo, chiedere 10 minuti di pausa e fare un paio di esercizi di mindfulness.
Non sarebbe un "programma ludopatia" difficile da seguire, senonché diventa di fatto impraticabile in un club dove a fine partita l'unica cosa di cui si parla a fine partita è l'effetto che la sconfitta o la vittoria X avranno sulla classifica e a marzo già si discute su chi andrà al CNS a novembre. A Terni mi hanno proposto di fare il ghost vivente ad libitum e "Jesoo! Finalmente!" è la prima cosa che ho pensato.
Il mio ego è mio ed è giusto che me lo gestisca io; mi inquieta tuttavia la presenza evidente di ludopatici megalomani più o meno gravi, che si aggirano per questo gioco convinti non solo di essere normali, ma che "fare il bullo" sia un diritto inalienabile del cittadino.