Cinquant’anni fa, nel 1964, il professore della Columbia University Richard J. Hofstadter scrisse per la rivista Harper’s un saggio così influente e fortunato che ancora adesso non si può fare a meno di citarlo durante le discussioni colte sulla politica americana. L’articolo di Hofstadter, poi diventato un libro, è Lo stile paranoico della politica americana, un trattato sull’influenza delle teorie complottistiche nella politica statunitense. Lo stile paranoico fu scritto ai tempi della vittoria del senatore conservatore, e guru del movimento libertario, Barry Goldwater alle primarie repubblicane per la presidenza degli Stati Uniti, e descriveva la cultura del sospetto, le manie persecutorie e le fantasie dietrologiche che seguirono l’ascesa del senatore dell’Arizona, e non solo la sua. Naturalmente alla Casa Bianca poi fu eletto il democratico Lyndon Johnson, nella più ampia vittoria a valanga mai registrata alle presidenziali, a dimostrazione che l’anomalia disfunzionale non paga nemmeno in politica: l’emozione dura poco, poi arriva il contraccolpo.
Questa patologia applicata alla politica continua a farsi sentire ancora oggi, a destra come a sinistra, con l’intransigenza suicida dei Tea Party e l’inconsistenza velleitaria degli Occupy Wall Street; con gli Snowden e gli Assange e i Greenwald convinti, grazie anche alla complicità della stampa borghese, di essere i nuovi Che Guevara contemporanei. Sulla paranoia nel mondo cosiddetto libertario hanno riflettuto nelle scorse settimane lo storico Sean Wilentz su New Republic e il costituzionalista e mentore di Obama Cass Sunstein su Bloomberg Businessweek. Gli Stati Uniti, però, hanno istituzioni solide, regole consolidate, fair play bipartisan. Da oltre due secoli, non da ieri. La polemica è molto spesso aspra, il filibustering è stato inventato lì, ma nessuno delegittima davvero l’avversario e il sistema riesce ad assorbire le esagerazioni paranoiche dell’estremismo extraparlamentare.
Noi che pure non ci siamo mai fatti mancare niente – comunismo, fascismo e terrorismo rosso e nero compresi – fin qui ne eravamo rimasti esenti: le «menti arrabbiate», come le chiamava Hofstadter, nell’Italia repubblicana sono rimaste ai margini della politica, hanno frequentato le ridotte dell’eversione e sono state perlopiù fenomeni di nicchia o al servizio di interessi o ideologie più strutturate che comunque si fronteggiavano nelle trincee democratiche della Guerra fredda. Le ideologie novecentesche erano radicate nella società, basti pensare al Pci e al Msi, e sono riuscite a contenere l’animosità, la passione e il delirio delle minoranze esagitate. Ma sconfitto il comunismo, e assorbito il reducismo fascista, le cose sono cambiate.
Oggi i protagonisti non sono più i vecchi partiti, né i loro eredi: nessuno può pensare davvero che in caso di vittoria della sinistra «i cavalli dei cosacchi si abbevereranno nelle fontane di San Pietro». I nostalgici dell’antica tradizione di sinistra, ridotti a percentuali da mozione Civati, al massimo si potrebbero abbeverare di sambuca al Bar Necchi del Pigneto. E vogliamo prendere sul serio Fratelli d’Italia o la Destra di Storace?
Con l’avvento di Beppe Grillo, della Casaleggio Associati e della loro ideologia da romanzi Urania è cambiato tutto: lo stile paranoico ora è tra noi. Quello che scrive Sunstein vale anche per i grillisti:
la sindrome da accerchiamento, l’idea che gli altri, i cattivi, stiano tramando con metodi illeciti, anzi occulti, per piegare il movimento, i diritti civili, la democrazia. Non credono a niente, quindi credono a tutto, dalle sirene alle scie chimiche, e non c’è verso di farli ragionare. Sono fanatici e non si fidano di nessuno, nemmeno dei loro amici. Presumono sempre la cattiva fede di chiunque non faccia parte del clan, e sospettano che anche i membri ristretti del gruppo possano essere potenziali traditori.
Infine sono vittimisti, si oppongono alla mediazione, celebrano l’indifferenza allo scambio. Per loro ogni giorno è quello del giudizio, del colpo di Stato, dell’apocalisse. E non si capisce mai se lo temano o se ne siano tentati.
Questa intransigenza insensata non è una strategia, come prescritto dai manuali dei regimi totalitari. Non sono così raffinati. Il lato paranoico è l’essenza stessa del movimento: si comportano come fascisti o polpottisti, con violenza per ora soltanto verbale, ma in realtà non sanno, non capiscono, non conoscono. Il deputato che urla in Parlamento «boia chi molla» convinto di difendere il collega che aveva dato di «boia» al presidente Napolitano non sa che quello è stato un motto caro al Duce e, poi, l’inno dei moti della Reggio Calabria di Ciccio Franco. O quell’esperto di comunicazione un metro sotto Casaleggio che, in un italiano stentato ma d’ordinanza, spiega che anche se i grillini fossero stupratori potenziali non ci sarebbe nessun pericolo per la presidente Boldrini, be’, anche lui non si rende conto di cosa sta dicendo. Esattamente come il führer massimo, Grillo Giuseppe detto Beppe, quando chiede alla Rete che cosa ci farebbe con la Boldrini in macchina.
Quello che voglio dire è che non ci fanno, ci sono. E non lo sanno.
Christian Rocca
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