Farmacista in Burundi. ‘La mia agenzia di viaggio lontana dal conformismo italiano’
Antonio Zivieri viene da Pescara e 11 anni fa si è trasferito in Africa. Lavora nel turismo etico e in ambito sanitario, ed è anche consulente per il dipartimento del Ministero della Salute a Roma. "La mia vita qui la riassumo in tre parole: speranza, gioia e umanità"
“Qui c’è la possibilità di inventarsi la propria vita”.
Antonio è partito quasi 11 anni fa per il
Burundi, a più di 5mila chilometri dall’
Italia. Ma non se n’è mai pentito. “In fondo è questa la mia casa”.
Antonio Zivieri viene da
Pescara e lavora nel settore
sanitario. Dopo la laurea in
Scienze farmaceutiche all’Università di Pescara ha cominciato ad entrare a piccoli passi nel mondo del lavoro.
Sostituzioni,
turni notturni e contratto a tempo indeterminato. “Ho lavorato come
collaboratore, sostituto del direttore, ho fatto sostituzioni notturne e domenicali e mi sono cimentato con alambicchi e distillatori in un laboratorio galenico”. Ma la strada non era quella giusta. “Quando ho deciso di partire era il
2004 e la crisi non era ancora arrivata. La decisione è stata del tutto casuale: mia
sorella stava terminando il suo contratto di cooperante con una
ong di
Bologna ed avevano bisogno di un
farmacista. Mi ha telefonato e, dopo non pochi ripensamenti, ho deciso che era il momento di andare”.
Una volta arrivato in
Burundi la vita non è stata come se l’aspettava. Prima regola? Evitare i soliti
luoghi comuni. “La realtà africana è completamente diversa da come ce la immaginiamo. Mi sono sentito
disorientato e tante convinzioni sono state smentite – racconta Antonio – Contrariamente a quanto si pensa, se da un lato in
Burundi c’è un senso dell’ospitalità fuori dal comune, dall’altro non passa un giorno senza che ti possa sentire
straniero”.
I ritmi africani di Antonio sono completamente diversi e ha il tempo di lavorare su più fronti. E’ corrispondente consolare per l’
Italia in
Burundi, consulente per il dipartimento del
Ministero della Salute, e si occupa di
malattie tropicali. “Ma l’occupazione più appassionante è senz’altro l’agenzia di
turismo etico – spiega. Programmare i
viaggi, immaginarli e cercare di soddisfare le
esigenze dei viaggiatori italiani è veramente entusiasmante”. Insieme alla
moglie, infatti, Antonio gestisce una piccola
agenzia di viaggio che dà la possibilità di scoprire il vero cuore del Paese, lontano dai soliti
giri turistici di massa.
E il continente dove si è trasferito è pieno di
sfumature e
differenze. “Innanzitutto è meglio non cadere nell’errore di considerare gli africani come un tutt’uno. L’
Africa è un continente e l’
Italia solo un
Paese. Siamo distanti anni luce ma su tante cose trovo che gli
italiani siano il popolo che meglio si adatta alla realtà
burundese – racconta. Abbiamo tante cose in comune, la prima credo sia l’arte di
arrangiarsi”.
La
sanità non è il massimo ma il Paese sta
recuperando in fretta: “Tutti i miei
figli sono nati in ospedali burundesi – spiega. Il livello basso, invece, lo si raggiunge nell’
artigianato. Sono pochissimi i
prodotti che abbiano una
qualità accettabile. Muratori,
idraulici, piastrellisti,
meccanici, elettricisti, praticamente tutte le figure professionali, devono fare i conti con poche nozioni di base e si improvvisano con risultati catastrofici.
La colpa? “Capirai, la
formazione degli
artigiani è lasciata a qualche progetto di
cooperazione che si basa sul sistema delle formazioni: si forma un insegnante in un mese o due e questo forma altri insegnanti che formano gli allievi. Mi sembra un modo un po’ troppo semplicistico per risolvere il problema della carenza di figure professionali, quando in
Italia un artigiano lo si formava ‘a bottega’ per anni”.
In effetti, ci spiega Antonio, in
Burundi un bravo artigiano avrebbe due vantaggi:
in primis tanti clienti da raggiungere in poco tempo. In secondo luogo potrebbe dare vita ad un’attività in proprio con un
investimento irrisorio. Da lì nasce il
richiamo per gli italiani. “Anche certe figure più qualificate, tipo i medici, avrebbero i loro
vantaggi e i loro tornaconto”. Per quanto invece riguarda il virus ebola, sembra ormai un pericolo scongiurato. “In effetti ha fatto più morti per fame di quanti ne abbia fatti per malattia. Molte persone che vivevano di turismo hanno dovuto cambiare mestiere perché la fobia ha tenuto lontano i viaggiatori” – spiega Antonio.
Cosa ci fa, insomma, un italiano nel cuore dell’Africa, diviso tra gli altipiani, la
Grande Rift Valley e il
lago Tanganica? “La mia vita qui la riassumo in tre parole:
speranza, gioia e
umanità. Speranza perché si può sperare di farsi la propria vita; gioia perché, tutto sommato, il tempo passato qui è pieno di felicità; umanità perché le
difficoltà e le
pene sono a misura umana. L’
Italia, in questo momento, è un po’ l’antitesi:
piattume, tristezza e
conformismo. Per piattume intendo dire che non è facile con i mezzi propri fare quello che si desidera veramente. Le altre parole, invece, non credo abbiano bisogno di spiegazioni”.
E se per Antonio il più bel ricordo legato all’Italia è la laurea, in Burundi le cose vanno diversamente: “Basta andare in giro al mercato o nelle campagne per assistere a scene che ti rimarranno impresse per tutta la vita”.