Su La nuova carne esce un mio raccontino enteogeno che tratta di un parroco che perde la fede e tenta di riacquistarla usando la salvia divinorum, una pianta sacra tradizionale (soprattutto) messicana dai portentosi effetti psichedelici (con una meravigliosa – e abbastanza terribile – inclinazione per l’allucinogeno completo e totalmente immersivo) che ebbi lo sconvolgente piacere e il prezioso privilegio di provare un po’ di volte nei miei lontani anni postadolescenziali fiorentini, quando ancora nel nostro paese era legale (veniva venduta negli ecosmartshop e ce n’era uno a Borgo San Frediano).
Il raccontino non è un vero e proprio trip report a distanza di quattro lustri, ma comunque per quanto concerne ‘il viaggio’ si basa naturalmente sulle mie esperienze dirette con questa potente e straordinaria pianta.
Questo testo minuto è imparentato – per chi fosse incuriosito – con altri miei lavoretti psiconautici e in particolare con ‘Micromenippea #1 – Salvia divinorum’ su Crapula, ‘L’ombelico dell’Arno’ su Nazione Indiana, ‘La comunione degli psiconauti – Note ed elucubrazioni su «Il trip report come sottogenere della letteratura di viaggio» di Peppe Fiore in «La scommessa psichedelica» a cura di Federico di Vita’ sempre su Nazione Indiana e ‘Spettralità’ su Micorrize.
Mi piace infine ricordare il Leonzio del Volo Magico (ricettacolo dello scibile intorno alle droghe, collezione strabiliante di fonti e testimonianze le più disparate ed eterogenee sulle medesime), al quale preme soprattutto far emergere una sua visione profonda del fenomeno psicotropo che parte dalla distinzione tra «droghe sterili e droghe produttive». Alla seconda categoria appartengono quasi solamente gli psichedelici e gli allucinogeni («uniche droghe atte a produrre teofanie di tipo mistico»), alla prima sostanzialmente tutto il resto. Solo con gli psichedelici si attraversano le porte della percezione, si ha accesso alla morte e alla rinascita, «fiorisce la realtà». Psichedelico significa letteralmente «che rivela la mente» ed proprio la mente l’oggetto ultimo di studio di Leonzio, non a caso autore della magnifica introduzione all’edizione Einaudi del Libro dei morti tibetano – Bardo Thödol.