I leader di 50 Paesi hanno partecipato alla commemorazione del massacro Srebrenica 10 anni dopo, le scuse di Usa e Ue Jack Straw: «Una vergogna per la comunità internazionale». Holbrooke: «Un fallimento della Nato e del contingente dell'Onu» STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
SREBRENICA (Bosnia Erzegovina) - Dieci anni dopo hanno pianto per la perdita dei loro cari. Dieci anni dopo il loro incubo è tornato ad essere una ferita ancora sanguinante per l'Europa e l'occidente che l'11 luglio 1995 assistettero quasi impotenti al massacro di 8 mila musulmani, sterminati e nascosti in qualche modo nelle fosse comuni.
LA COMMEMORAZIONE - Oggi, nella giornata del ricordo, si sono riuniti in migliaia a Srebrenica per commemorare le vittime delle milizie serbo-bosniache guidate dal generale Mladic. Una giornata, quella di oggi, che il presidente serbo Boris Tadic, primo capo di stato della Serbia a rendere omaggio ai caduti, ha fortemente voluto trasformare in occasione di riconciliazione dopo le stagioni dell'odio e delle vendette.
RICONCILIAZINE DIFFICILE - Alla cerimonia erano presenti, oltre ai delegati di una cinquantina di Paesi, anche il ministro degli Esteri della Gran Bretagna, Jack Straw, presidente di turno dell’Unione Europea, e l’ex negoziatore statunitense Richard Holbrooke, uno degli artefici degli accordi di Dayton che nel 1995 misero fine al conflitto. Tadic ha spiegato la sua presenza come gesto concreto «per rendere omaggio a vittime innocenti e per mostrare, in quanto presidente serbo, quale sia l’atteggiamento della Serbia nei confronti dei crimini commessi contro i musulmani». Una partecipazione, la sua, che era stata contestata da alcuni sopravvissuti al massacro. La recente scoperta di una nuova fossa comune nella zona di Potocari, e il funerale celebrato solo oggi, a dieci anni dai massacri, se da un lato sono stati occasione di ulteriore riflessione, dall'altro hanno rievocato vecchi rancori.
IL GENOCIDIO - Il tribunale penale internazionale ha confermato in modo definitivo che quello di Srebrenica è stato un «genocidio». Definita «zona di sicurezza» dell’Onu nell’aprile del 1993, la città-enclave musulmana in Bosnia, vicina al confine con la Serbia, è stata attaccata dalla forze serbe di Bosnia nel luglio 1995. Migliaia di rifugiati musulmani avevano lasciato le loro case, nella regione, cercando protezione a Srebrenica. Un contingente di 450 caschi blu olandesi male armati assistette al massacro: circa ottomila tra uomini e ragazzi furono separati da donne, vecchi e bambini. Questi ultimi furono cacciati dall’enclave: i parenti scomparvero nel nulla. Di fatto - ma ci vollero mesi perché la comunità internazionale capisse cosa era successo davvero - furono uccisi e sotterrati in fosse comuni per dissimulare il crimine.
«UNA VERGOGNA PER TUTTI» - Per Jack Straw «è una vergogna per la comunità internazionale che un tale diabolico crimine si sia svolto sotto i nostri occhi e che non si sia riusciti a fare abbastanza per impedirlo». Il ministro britannico ha definito inoltre «scandaloso» il fatto che a dieci anni dal massacro i responsabili siano ancora latitanti. Radovan Karadzic e Ratko Mladic, che furono rispettivamente la guida politica e militare dei serbi di Bosnia, sono stati accusati di genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia. Straw ha anche trasmesso un messaggio del premier britannico Tony Blair: «Non dimenticheremo mai la vostra sofferenza terribile, vi esprimiamo la nostra solidarietà nello stesso modo in cui voi avete espresso la vostra per gli attentati di giovedì a Londra».
IL MEA CULPA DI UE E USA - Il responsabile della politica estera e di difesa dell’Unione Europea, Javier Solana, ha da parte sua dichiarato in un comunicato che «le vittime avevano posto la loro fiducia nella protezione internazionale, e noi non siamo stati all’altezza: si è trattato di un fallimento vergognoso, collettivo e colossale». Sulla stessa linea Holbrooke, che ha parlaro di «un fallimento della Nato e del contingente di pace dell’Onu, una tragedia che non avremmo mai dovuto permettere potesse accadere».
11 luglio 2005