Le vicende di Bologna dimostrano che ci sono più sinistre, incerte o discordanti sulle necessità della lotta e sugli obblighi della cultura di governo. Ci sono riformisti e massimalisti, alternativi e no global, comunisti e socialdemocratici, uomini che puntano a vincere accettando il sistema e altri che desiderano vincere soltanto per sabotarlo. La vicenda di Bologna – non a caso la città di Prodi – è un'anticipazione maligna delle lacerazioni che si potrebbero creare nel Paese qualora la falsa panacea dell'Unione portasse al potere le sinistre, chiunque sia chiamato a guidarle.
E non c'è soltanto Bologna. Il ricorso alle piazze da parte di minoranze rumorose e rissose si è registrato anche altrove e sempre emerge la contrapposizione aspra delle sinistre, divise sul rispetto dei Parlamenti e sulla tendenza all'azione diretta, che ignora i numeri e le regole, essenza della democrazia.
L'Unione, di fronte a questi sviluppi, è in serie difficoltà. Questo spiega perché, nella piazza, ci siano dirigenti che fanno i pompieri mentre altri, loro alleati comunque, fanno gli incendiari.
Si comprende, in questa situazione, la tentazione per politici pure accorti come Amato e Parisi di puntare sulla dimensione mitica, falsamente favolosa che le primarie non hanno avuto. Il sogno della quiete rigeneratrice contro il dramma quotidiano della frantumazione. Una forma di evasione, il rifugio nell'affabulazione e nella suggestione, nell'ossessione di negare l'altro e di sconfiggerlo. È come se la strategia dell'Unione fosse stata delegata a Celentano. A proposito, non c'è nessuno che voglia proporlo come candidato premier?