Non esagerare però....

Mezza pastiglia da 10 milligrammi una volta al giorno. Il Prozac, quello vero, costa un po', ma una confezione del farmaco generico corrispondente, la fluoxetina, si acquista con 16 dollari e dura quattro mesi. Abbastanza perché la terapia faccia il suo effetto. E il gatto smetta di fare pipì ovunque, di aggrapparsi alle tende, di assaltare a unghiate chiunque gli capiti a tiro. A convivere con gli animali domestici accade anche questo. Un cane, o un gatto (ma anche cavalli e piccoli volatili) in crisi depressiva. O comunque con disturbi dell'umore e del comportamento che possono tradursi in un problema serio. Per non aggiungere sofferenza a sofferenza, negli Stati Uniti si diffonde la consuetudine, adottata da star della veterinaria, di sottoporre le bestiole a terapie antidepressive. D'altronde, se nel mondo 121 milioni di persone (dati Oms 2006) sono affette dal male oscuro, perché dovrebbero esserne immuni quegli esseri che a tutti i costi cerchiamo di plasmare a nostra immagine e somiglianza?
Gli americani la chiamano la "New Prozac Nation", un piccolo esercito silenzioso di bestiole sconquassate che a un certo punto mostrano, a modo loro, di aver bisogno d'aiuto. In questi casi, la nuova frontiera della veterinaria si chiama Prozac, Buspar, amitriptilina, clomipramina.
Cinque anni fa, spiega al Los Angeles Times Richard Martin, della "Brentwood Pet Clinic" di Los Angeles, "non più dell'1% dei nostri pazienti era curato con antidepressivi. Oggi il 5% dei cani e dei gatti ospitati nella nostra clinica prende farmaci per riequilibrare il comportamento". Per i proprietari non è un vezzo, come i "cappottini" o i guinzagli firmati dagli stilisti. "Si trattadella soluzione a una patologia grave - continua Martin - che, se non risolta, potrebbe costringere i proprietari a sopprimere l'animale".
Certo, non è piacevole vivere con un gatto che di continuo fa pipì in ogni angolo della casa. Ne sa qualcosa Elyse Kent, direttore sanitario del Westside Hospital for Cats di Los Angeles. Da 12 anni cura gatti con farmaci psicoattivi, "perché fanno pipì in maniera compulsiva, o perché diventano improvvisamente aggressivi anche con i proprietari", soprattutto da quando, nel 2001, la University of California ha pubblicato una ricerca che dimostra che la fluoxetina (Prozac) riduce la pipì compulsiva dei gatti.
I veterinari ne parlano come dell'unica soluzione per i disturbi del comportamento. Curtis Eng, capo dello staff di medici che cura gli ospiti dello zoo di Los Angeles, spiega che gli antidepressivi a volte sono necessari per completare le terapie tradizionali. Fa l'esempio di Minyak, un maschio di orangutan affetto da insufficienza respiratoria e astenia. "Ci consultammo con uno psichiatra, e sottoponemmo Minyak a un ciclo di Remeron. Non mangiava più, e l'antidepressivo gli stimolò l'appetito. Grazie alla terapia - continua Eng - si rimise in forze, si accoppiò ed ebbe un figlio nel 2005. E sospendemmo la somministrazione".
I farmaci destinati agli animali sono quelli prescritti agli esseri umani: gli inibitori del reuptake della serotonina, e i tricicli. Entrambi i gruppi controllano i livelli della serotonina nel cervello. I tricicli intervengono anche su altri neutrasmettitori, incluse le noreprinefine, all'origine dei disturbi dell'attenzione e dell'impulsività. Ma in molti casi, i farmaci sono "off-label", cioè la loro applicazione sugli animali non ha ricevuto l'approvazione della Food and Drugs Administration. Unico "ufficializzato", il Clomicalm, usato sui cani per curare l'ansia da separazione.
Anche nel caso degli animali, però, non mancano le discriminazioni. Sociali, s'intende. Chi può permettersi certe cure, e chi no. Un paio di visite presso un veterinario comportamentista - nel mondo ce ne sono solo 42, secondo Melissa Bain, capo del dipartimento di veterinaria alla Davis School of Veterinary della University of California - costano circa 550 dollari, senza contare la parcella di una visita a domicilio.
Meglio sarebbe, come osserva la Bain, trattare gli animali per quel che sono. "Vent'anni fa, un border collie sarebbe vissuto in un ranch del Colorado - dice la dottoressa - non nel cuore di San Francisco. Prima di sottoporli a cure, terapie e cose di questo genere, dovremmo guardarli negli occhi e chiederci: mio Dio, che cosa vi abbiamo fatto...".