UNA SENTENZA INNOVATIVA: LO STATO DEVE RISARCIRE I DANNI DA REATO VIOLENTO ED INTENZIONALE
ECCO GLI ARGOMENTI ADDOTTI IN MOTIVAZIONE DAL TRIBUNALE DI TORINO
La sentenza del Tribunale di Torino n. 3145/10 del 6 maggio 2010, resa dalla Dott.ssa Roberta Dotta, è senz’alt ro una pronuncia storica, essendo la prima in assoluto ad avere riconosciuto l’inadempimento dell’Italia per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo/riparazione delle vittime di reato e la conseguente responsabilità civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La direttiva 2004/80/CE riveste un’importanza fondamentale. Infatti, ha istituito per tutti gli Stati il seguente obbligo: “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime” (art. 12, paragrafo 2).
In pratica, lo Stato italiano, in base a questa direttiva, dovrebbe garantire ai cittadini e agli stranieri, vittime di reati intenzionali e violenti (omicidi dolosi, lesioni dolose, violenze sessuali) commessi sul territorio italiano, un risarcimento (o, perlomeno, indennizzo) equo e adeguato, ogniqualvolta l’autore del reato sia rimasto sconosciuto o si sia sottratto alla giustizia o, in ogni caso, non abbia risorse economiche per risarcire la vittima per i danni arrecati a questa o, nel caso di morte, ai famigliari.
Come espressamente previsto dall’art. 18 della suddetta direttiva, il legislatore italiano avrebbe dovuto: 1) attuare detto sistema d’indennizzo entro il 1° luglio 2005; 2) attuare le disposizioni inerenti l’indennizzo in questione nei casi transfrontalieri (cioè nel caso di straniero rimasto vittima in Italia e di italiano vittima in uno Stato membro) entro il 1° gennaio 2006.
Lo Stato italiano non ha rispettato tali termini e per questo è stato poi condannato dalla Corte di Giustizia per il suo ritardo (sentenza 29 novembre 2007, causa C 112/07).
Peraltro, l’Italia è l’unico Stato europeo (insieme alla Grecia) a non avere dato attuazione alla Convenzione europea relativa al risarcimento delle vittime di reati violenti (Strasburgo, 24 novembre 1983, entrata in vigore il 1° febbraio 1988), che, avendo anticipato di molti anni la direttiva, prevede, che, se la riparazione non può essere interamente garantita da altre fonti, lo Stato deve contribuire a risarcire sia coloro che hanno subito gravi pregiudizi al corpo o alla salute causati direttamente da un reato violento intenzionale e sia coloro che erano a carico della persona deceduta in seguito a un tale atto. La Convenzione contempla anche il caso dello stupro.
Il caso approdato all’attenzione del Tribunale di Torino riguardava la terribile esperienza vissuta da una giovanissima ragazza, la quale era stata sequestrata, percossa e violentata per un’intera notte da due ragazzi. I fatti criminosi erano stati accertati penalmente, sennonché i due responsabili si erano resi latitanti nel corso del giudizio di primo grado e comunque non avevano risorse economiche per risarcire i danni riportati dalla ragazza.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri si era difesa sostenendo di avere attuato la direttiva con l’emanazione del d.lgs. 9 novembre 2007 n. 204 e che l’ordinamento italiano già contempla dei sistemi di indennizzo, ancorché solo per alcune specifiche categorie di vittime (quelle del terrorismo e della criminalità organizzata, del disastro di Ustica, della banda della uno bianca, dell’usura). Tuttavia, il Tribunale ha ritenuto come il d.lgs n. 204/2007 non avesse mutato la situazione di inadempimento affermata dalla Corte di Giustizia il 29 novembre 2007. In particolare, il Tribunale ha constatato che allo stato “nessuna norma di diritto interno riconosce … il diritto al risarcimento per reati intenzionali violenti diversi da quelli già regolamentati dallo Stato prima ancora dell’entrata in vigore della direttiva”.
La Presidenza aveva altresì sostenuto che rientrasse nella discrezionalità del legislatore nazionale stabilire per quali reati intenzionali e violenti riconoscere l’indennizzo, di fatto affermando di poter escludere la tutela di cui alla direttiva nei casi di violenze sessuali, oltre che nelle ipotesi di omicidio doloso e lesioni dolose non imputabili a terrorismo, mafia e criminalità organizzata. Nondimeno, il Tribunale ha rigettato anche questa tesi, rilevando che la direttiva “non pare attribuire agli stati nazionali di poter scegliere i singoli reati intenzionali violenti che possono formare oggetto di risarcimento, ma anzi impone loro di prevedere un meccanismo indennitario per tutti i reati intenzionali violenti e dunque anche per i reati di violenza sessuale – reati contro la persona di evidente natura violenta e intenzionale”.
Accertato così l’inadempimento dello Stato italiano, il Tribunale, applicando i consolidati principi sanciti dalla Corte di Giustizia e dalla Cassazione in materia di responsabilità civile per mancata attuazione di direttiva comunitaria, ha condannato la Presidenza del Consiglio a risarcire le “conseguenze morali e psicologiche” subite dalla ragazza, liquidando in via equitativa la somma di € 90.000 e ritenendo che i pregiudizi, per essere risarciti, non abbisognassero di un’istruttoria (stante le modalità con cui erano stati commessi i fatti criminosi).
La sentenza del Tribunale di Torino dischiude gli orizzonti alla tutela risarcitoria di tantissime vittime di reati intenzionali e violenti, finalmente colmando così una grave lacuna che ci distingueva in negativo dagli Stati europei (tutti adeguatisi da tempo, ad eccezione della Grecia).
Tuttavia, rimane un’evidente differenza fra l’Italia e gli altri Stati europei: ad oggi le vittime colpite sul territorio italiano da questi reati non hanno un fondo cui rivolgersi, ma, per ottenere quanto loro garantito dalla direttiva 2004/80/CE, si trovano costrette a ricorrere ai Tribunali, proprio come avvenuto nel caso deciso dalla sentenza torinese, dovendo pertanto affrontare un vero e proprio processo con tutti i patemi a questo associato. Ciò rischia di comportare l’instaurazione di un numero elevatissimo di processi civili contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con costi per lo Stato ed ulteriori aggravi per le vittime in tutta evidenza evitabili, se solo il legislatore si decidesse ad intervenire. Di conseguenza, non si può che auspicare quanto prima una legge che dia concreta e seria attuazione alla direttiva, evitando alla magistratura di dover sopperire alle carenze del Governo e del Parlamento su questioni fondamentali per i cittadini.
La causa è stata seguita dall’Avv. Marco Bona e dall’Avv. Stefano Commodo dello studio torinese Ambrosio e Commodo, nonché dall’Avv. Francesco Bracciani, che aveva assistito la ragazza nel processo penale.
Per ulteriori informazioni sulla materia si rinvia a M. BONA, La tutela risarcitoria statale delle vittime di reati violenti ed intenzionali: la responsabilità dell’Italia per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE, in Resp. Civ. Prev., 2009, n. 3, 662-708, articolo reperibile tramite il seguente link.
Marco Bona ha partecipato ai lavori preparatori della direttiva 2004/80/CE, ivi compresa l’Audizione sul Libro Verde della Commissione “Risarcimento alle vittime di Reati”, tenutasi a Bruxelles il 21 marzo 2002, alla quale parteciparono attivamente rappresentanti di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea fatta eccezione per l’Italia, la quale così si giustificò, adducendo “la necessità di operare dolorose selezioni degli impegni” a fronte di “una disponibilità limitata di risorse umane” (lettera del 16 aprile 2002 prot. n. 99/3/12-82/2002 del Ministero della Giustizia, Ufficio Coordinamento Attività Internazionale).
Nell’aprile 2007 Marco Bona, insieme ai colleghi di studio Renato Ambrosio, Stefano Commodo e Stefano Bertone, aveva denunciato lo Stato Italiano alla Commissione Europea per la mancata attuazione della direttiva 2004/80/CE (cfr. testo del Documento).