Elogio della stroncatura
(mi ha aiutato a scrivere)
Lettera al critico scomparso


Caro Giorgio De Rienzo, ritengo che il modo migliore per comunicare con un amico che è partito sia
quello di scrivergli una lettera. La mia inguaribile natura di sognatore mi fa essere sicuro che tu la leggerai, così mi sentirò meno in colpa.

Le cose che penso e che scrivo avrei dovuto dirtele di persona tempo fa. Ma tu hai letto e scritto troppe cose per non sapere come va spesso nella vita. A volte il pudore, a volte il tempo che crediamo sia solo stupida sabbia in una clessidra e poi ti frega, a volte un suono che pare il tuo nome e invece giri di scatto la testa dove non c'è nessuno.

Nel corso della mia carriera mi sono sottoposto diverse volte e in diversi campi alla regola delle recensioni. È lo scotto che deve pagare chi ha l'ardire di volere comunicare con la pretesa di essere ascoltato. Quando ne ho avute di buone, ho sempre sollevato un telefono o scritto una mail per ringraziare. Quando ne ho ricevute di meno buone non ho mai protestato, pensando che quelle critiche, anche solo in parte, forse me le ero meritate. Con te è stato diverso. Ero reduce da due romanzi gratificanti dal punto di vista del successo di pubblico e con qualche critica sorpresa e sorprendente. Le tue pagelle erano di un tenore decisamente diverso: al primo hai dato 3, al secondo 4. Pensavo che anche tu, come molti altri, fossi prevenuto nei miei confronti e avessi, con queste stroncature, preso le distanze da un sedicente scrittore che nel passato si era macchiato della colpa grave di essere un comico. Non ci eravamo mai incontrati di persona e quando finalmente è successo alla serata finale di un premio letterario, con la mia migliore faccia tosta sono venuto da te e mi sono presentato con queste esatte parole. «Salve, mi chiamo Giorgio Faletti e sono un ex comico di successo, ora aspirante scrittore. Ho letto le sue critiche e ho notato con piacere che col secondo libro sono passato dal tre al quattro. Procedendo di questo passo, un altro paio di romanzi e dovrei raggiungere la sufficienza». E tu mi hai risposto nel modo per me più bello del mondo: hai sorriso. E lì ho capito che la tua severità nei confronti delle mie opere non era un attacco alla persona ma al contenuto, con la serenità d'animo che ogni critico dovrebbe avere nel momento in cui si appresta a recensire una storia. Da quel sorriso ho capito che eri una persona che mi sarebbe piaciuto conoscere meglio, non per avere un numero più alto nella tua pagella sul giornale ma per avere un numero più alto di amici.

Purtroppo quella sera, come accade in simili occasioni, ci siamo persi nel caos della convivialità e non è stato possibile approfondire la nostra conoscenza. In seguito sono usciti altri miei lavori, sempre regolarmente da te stroncati. Non me la sono presa e non mi sono sorpreso. La mia battuta non voleva essere una captatio benevolentiae ma solo l'espressione di un mio modo abituale di comunicare. Dal tuo sorriso mi sono accorto che l'avevi capito. Ogni volta che ci vedevamo il mio piacere era constatare che si trattava dell'incontro di due persone e non di un autore e del suo critico, come se le reciproche attività fossero due cose staccate dal piacere di parlare di libri davanti a un pessimo caffè in un bar di Guadalajara con una buona sigaretta fra le dita.

Per arrivare al tanto agognato 6 ci ho messo un libro in più di quanti ne avevo preventivati quella sera ma, come sai, la perfezione nelle previsioni non è di questo mondo. Lo sa chiunque si sia trovato a spalare trenta centimetri di sereno bello stabile dal vialetto di casa sua. Alla fine di quella benevola recensione di una storia americana, mi ricordo, c'era un piccolo incentivo, un lusinghiero sprone. Poche parole che mi hanno acceso una luce nella testa. «Ora saremmo curiosi di vederlo alle prese con una storia italiana». La storia italiana è arrivata, è arrivato un tuo 7 che mi ha fatto un immenso piacere perché non è stato un episodio isolato ma è venuto insieme ad altri lusinghieri consensi di critica. Quel tuo voto mi è stato particolarmente caro perché sapevo che, se per caso il libro non ti fosse piaciuto, non avresti avuto la minima esitazione a utilizzare una delle valutazioni algebriche che mi ero visto attribuire in passato. Il motivo di questa lettera è che volevo comunicarti di avere scritto un nuovo libro. Altri ne scriverò in futuro e, sempre per la mia inguaribile natura di sognatore, sono certo che li leggerai e prima o poi mi farai sapere. Ma ora, subito, ci tenevo a dirti che in ognuno ci sarà qualcosa di tuo. E ci tenevo che lo sapessero tutti. Un abbraccio, in qualunque posto tu sia.

Giorgio Faletti
23 agosto 2011