Ieri parlavo con amico, utente esperto, di alcuni meccanismi di chall e prestichall, in particolare della questione della scelta degli avversari in luogo del sorteggio, dell’importanza quindi dello studio della classifica, della diatriba sul fatto che a vincere le chall non siano i più bravi ma quelli più astuti nello sfruttare e selezionare gli utenti meno esperti. Insomma, mentre parlavamo di questa vicenda, molto dibattuta anche proprio in questi giorni, il discorso vira sull’odiosità della «fantomatica legge del così non si gioca». È la questione del “dover essere” del gioco, la questione delle “convenzioni”, qualcosa che assume talvolta addirittura le sembianze di un’etica normativa del gioco, una morale prescrittiva ulteriore rispetto al regolamento. Non parlo del fatto che se violi l’equilibrio ci sono delle reazioni, quello è naturale. Ad esempio in una partita che vinsi del Dantesco chiusi Oceania al quarto giro giocando tris: due territori li avevo, gli altri due li tolsi al blu – mandandolo a 7 – che li difendeva con tre carri ciascuno. Come era normale e prevedibile la reazione dei tre avversari fu di giocarmi contro facendo carta a tre, un fronte comune. Non persi quella partita solo perché attorno al trentesimo giro iniziarono ognuno a guardare al proprio orticello invece di sopraffarmi, come avrebbero potuto. A fine partita il blu – un giocatore live – mi fece una partaccia serissima, dicendomi tra le altre cose che «così non si gioca», che anzi dovevo dirgli a quale club appartenevo (voleva parlare con qualcuno perché venissero presi provvedimenti?), che non ero stato corretto, che «questo non è un master» (in un master le cose scorrette quindi diventerebbero corrette?). Oppure in chall m’è capitato di vincere facendo carta a 4 vs 1 da piazzamento e poi per tutta la partita in Oceania e che un terzo giocatore escluso dalla carta – un medagliato a tempo, notorio scartinatore seriale – si inferocisse (tra le altre cose disse che non avrebbe più giocato con me) perché avevo fatto troppo carta e «così non si gioca». Un’altra volta intorno al venticinquesimo giro facevo carta in Europa con il giallo (apprezzato interprete abituale del dgt) mentre lui faceva più tempo scartinando anche in Oceania con il blu, andai a sette carte, poi scaricai tutto su Nord America che chiusi, senza sfiorare il giallo (che tra l’altro non ce l’aveva minimamente in obiettivo) e questo s’imbestialì e me ne disse di tutti i colori, insultandomi in modo pesante, dicendomi che avevo fatto una figura di merda perché «così non si gioca». In tutti e tre i casi – nel primo avevo appena iniziato a giocare e chiesi addirittura scusa perché stordito da un concetto di sportività distorto – si assumono violate delle prescrizioni morali che dovrebbero inibire delle strategie di gioco.