«Abbiamo bevuto il soma, siamo divenuti immortali, abbiamo visto la Luce, abbiamo trovato gli Dei», recita il Rgveda. Non lasciarono tracce i vedici che non fossero linguistiche, parole e formule che scandivano rituali «al centro dei quali – scrive Calasso – appariva una pianta inebriante, il soma […] Uno stato di coscienza diventava il perno intorno a cui ruotavano, in una meticolosa codificazione, migliaia e migliaia di atti rituali. La mitologia, e così anche le speculazioni più temerarie, si presentavano come una conseguenza dell’incontro fatale e dirompente fra una liturgia e l’ebbrezza». Dalla macerazione di quale pianta s’estraesse il soma non lo sappiamo, da lungo tempo l’umanità l’ha dimenticato, già tre millenni fa gli inni vedici ne parlavano come qualcosa di appartenente al passato, che non si riusciva più a reperire (forse anche a seguito di migrazioni): la sostanza psicotropa («La bevanda mi trascina come un vento di tempesta. Ho dunque bevuto soma?») ed enteogena («Una sola metà di me è più grande dei due mondi. […] Ho superato in grandezza il cielo e la terra. […] Io immenso, mi innalzo fino alle nubi. Ho dunque bevuto soma?») arcaica per antonomasia è anche la pianta mitica per eccellenza.
Ricettacolo dello scibile intorno alle droghe, collezione strabiliante di fonti e testimonianze le più disparate ed eterogenee sulle medesime, questo testo pubblicato per la prima volta nel 1969 fa di ogni sostanza – dall’oppio all’LSD passando per la mandragola e lo stramonio – l’occasione per un’investigazione erudita (con un certo gusto per l’ameno) che investe chimica, farmacologia, archeologia, documentazione minuziosa degli effetti, storiografia, filologia, antropologia, tecniche di raccolta e preparazione, iconografia, medicina, mitologia, usi cerimoniali, dossografia, tossicologia, botanica.
Eppure gli intenti di Leonzio non sono solo enciclopedici (se così fosse il libro sarebbe senza fallo invecchiato male), gli preme far emergere una sua visione profonda del fenomeno psicotropo che parte dalla distinzione tra «droghe sterili e droghe produttive». Alla seconda categoria appartengono gli psichedelici («uniche droghe atte a produrre teofanie di tipo mistico»), alla prima sostanzialmente tutto il resto. Solo con gli psichedelici si attraversano le porte della percezione, si ha accesso alla morte e alla rinascita, «fiorisce la realtà». Psichedelico significa letteralmente «che rivela la mente» ed proprio la mente l’oggetto ultimo di studio di Leonzio, non a caso autore della magnifica introduzione all’edizione Einaudi de Il libro dei morti tibetano. Bardo Thödol.