Manuale di Risiko Redstar - 1 contro 1 - Il Principe delle Stelle e la Principessa di Aldebaran (anche ebook)(autorizzato da Higghe) - ScacchiGiudicare preclude la possibilità di conoscere.
"La mia libertà finisce dove comincia la vostra." - Martin Luther King
Non abbandonerò alcuna partita, per alcun motivo, nemmeno subito dopo lo start. Questa comunicazione è da considerarsi sostitutiva di una analoga comunicazione pre-partita.
http://forum.egcommunity.it/showthre...06#post1124806
Quando diamo un giudizio assoluto (non limitato ad un fatto) su una persona, stiamo in realtà esprimendo il giudizio che abbiamo di noi stessi.
Caro Orsini,
non posso che aver espresso che una serie di opinioni: sguazzo nella doxa.
Mi contesti l'uso del termine principio, consentimi di farti presente che l'ho usato nel senso 3a ed evidentemente non nel senso 3b del dizionario Treccani [qui] ovvero:
"3.a. Concetto, affermazione, enunciato che forma uno dei fondamenti di una dottrina, di una scienza o di una disciplina, di un particolare sistema, o che, più semplicemente, sta alla base di un ragionamento, di una convinzione: una teoria filosofica fondata su saldi p.; i p. basilari della dottrina cristiana; il dogma è un p. di fede; le tue idee si basano su p. ormai superati; la vostra argomentazione parte da un p. sbagliato; questione di principio, la motivazione di un atteggiamento che, per essere fondato su una convinzione morale o su regole assolute di comportamento, non dev’essere posto in discussione (ne ha fatto una questione di p.; per me ormai è una questione di p.); petizione di principio, sofisma consistente nel presupporre implicitamente dimostrata la tesi stessa che si pretende di dimostrare (v. petizione). Con altro sign., principî, al plur., le basi, i presupposti e anche le nozioni generali su cui è costruito un sistema, una disciplina e sim.: principî di economia, di linguistica, ecc. In partic., p. giuridici o principî del diritto, norme esplicite o implicite dell’ordinamento giuridico (in quest’ultimo caso individuate attraverso l’elaborazione dei giuristi) che ne esprimono i criterî e i valori fondamentali: di particolare rilievo i p. costituzionali e i p. generali dell’ordinamento giuridico dello stato, utilizzati dagli interpreti come ulteriore criterio di riferimento nella soluzione delle controversie."
Mi interessano invece molto i tre principi legati al gioco che hai individuato. Di che si tratta?
In fondo tutto proviene dal fatto che la volontà deve divorare se stessa, poiché nulla esiste fuori di lei, ed ella è una volontà affamata.
[Schopenhauer]
Il Gioco non era solo esercizio e svago, era la coscienza concentrata di una disciplina spirituale.
[Hesse]
Onestà intellettuale e confessioni oscene di un rettile
Caro Cimatti,
il gioco è giocato oggi da soggettività umane incarnate, non in un remoto futuro da macchine anaffettive, per di più non è giocato da monadi antisociali ma da una comunità di giocatori. Ecco che le abilità relazionali hanno un loro peso. Il tuo discorso potrebbe avere senso se non lo avessero. Se vuoi vincere i tornei devi tenerne conto o meglio se ne tieni conto è più facile che tu vinca dei tornei. Pensare il contrario secondo me è semplicemente utopistico (talora forse addirittura distopico).
Per te le abilità relazionali sfociano – come hai avuto modo di dire – nella combine, io invece considero il gioco nel suo complesso come eminentemente psicologico e uso qualunque strategia consentita dal regolamento al fine di ottenere il mio utile che è la vittoria dei tornei. Da questo punto di vista conoscere i costumi (e i valori) che informano l’idea di sportività (ma in generale tutti i dispositivi deontici) operante nella comunità dei giocatori è essenziale. C’è una differenza di base nei nostri modi di pensare: io non ricavo mai il dover essere dall’essere, tu sì. Questa cosa che fai si chiama cognitivismo assiologico. Io descrivo la sportività per come è vissuta e percepita dai giocatori nella realtà, tu pretendi di normarla imperativamente. A te interessa cosa è astrattamente vero in relazione alla sportività, per me nulla è astrattamente vero in relazione alla sportività, a me interessa mappare la configurazione della sportività negli universi interiori dei membri della community al fine di usarla per vincere tornei in concreto. Da questo punto di vista io sono un utilitarista pragmatico e tu un’idealista illuminato, io uno scettico e tu un platonico. Chi ambisce a vincere deve però giocare con le carte che stanno sul tavolo, non può cambiarle perché sarebbe nella sua visione giusto farlo.
La vera natura della sportività nel gioco per me è inattingibile, per te è conoscibile tramite la logica e prescrittiva. Per me non esiste alcuna sportività oggettiva, per te sì. In questo senso la tua è una posizione etica deduttiva, la mia cinica induttiva.
Concludo riportandoti una cristallina pagina di Masiero, facendola mia e specificando che dopo la parola “al tavolo” cerchiata in verde va aggiunto (per quanto mi riguarda) “e nei tornei”:
L'esempio di questo c'e' stato proprio ieri in un mio game di prestichallenge...Faccio carta sin dall'inizio in 0ceania con un giocatore (Kamciack)....sia io che lui potremmo prenderla facile con un tris..ma entrambi facciamo i "bravi ragazzi" perche' lo riteniamo ,al momento conveniente....poi lui mi fa capire con i suoi attacchi (sia pure non su di me) che ha obiettivo piuttosto simile....alla prima occasione facile allora prendo Oceania....A fine game me ne ha dette di tutti i colori perche' ho "osato" schiaffeggiare il "bravo ragazzo" comunicandomi che giochera' per questo sempre contro di me (o non ci giochera' piu''') ........Mah....
Per la cronaca il game lo ho stravinto facendo 80 punti e triplicando il secondo giocatore.....quindi ...chi ha ragione? Il "ceffone"ha avuto senso o no? Ai posteri la (poco) ardua sentenza..... (io al suo posto avrei fatto i complimenti al vincitore...punti di vista)
Ciao
«È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
Io che sono più realista mi accontento di un castello»
Guccini, Don Chisciotte [qui]
Di aver ragione non mi interessa, tantomeno mi interessa di contraddirmi (più o meno apparentemente), mi interessa invece farmi capire da te.
Io non mi sono mai lamentato con nessuno che m’abbia tolto una vittoria muovendo quando era totalmente fuori dai giochi, è vero il contrario: quando essendo io fuori dai giochi ho tolto la vittoria a qualcuno sono stato attaccato con rabbia e ferocia e mi sono messo a rifletterci. Io non ho pretese sul gioco degli altri: non ho un mio pensiero sul gioco che ritengo prescrittivo e vincolante. Io mi sono limitato (sia per questioni conoscitive mie personali che per questioni strategiche) a fare una ricognizione di ciò che la comunità dei giocanti (tanto live quanto online) ritiene giusto o sbagliato. Dalla ricognizione è venuta fuori una mappa delle configurazioni che assume l’idea di sportività (i dispositivi deontici ulteriori rispetto al regolamento, il codice comportamentale in uso) tra i giocatori. Ho anche provato (per mio diletto) a organizzare razionalmente i contenuti eterogenei di questa mappa in una tassonomia sistematica e descrittiva (non normativa) – i risultati di questa operazione si trovano nella pars construens [qui] esposta in precedenza.
Di cosa sia astrattamente vero in merito alla sportività non potrebbe fregarmene meno, di imporre la mia idea di sportività agli altri ancora meno, mi frega come opera la sportività in concreto nella comunità. Se mi ci voglio muovere dentro, m’è utile una mappa, poi posso decidere di seguirla o meno. Quando parlo di comunità, di gioco immerso in una comunità, non parlo mai delle relazioni tra i giocatori, tantomeno di fare comunella, affermo che esiste un linguaggio comune effettivamente parlato dai giocatori (ogni partita è anche un dialogo, ogni mossa è parlante, il nostro gioco è anche comunicazione) con una propria grammatica: io voglio conoscere questo linguaggio e questa grammatica che informano il modo di comportarsi e di percepirsi dei giocatori. Conoscere questo linguaggio e questa grammatica (impararla è ciò che ho fatto nell’ultimo anno e mezzo) è importante per comprendere come il gioco è realmente giocato e per giocarlo, secondo me. Mi pare arrogante e sciocco dire: voi parlate un linguaggio sbagliato, il linguaggio giusto è questo e ve lo calo dall’alto perché ho attinto alla vera sportività alla quale dovete adeguarvi.
M’ero però riproposto di non divagare e ritorno subito al punto: in nessun caso io pretendo di non essere attaccato da chi è fuori dai giochi, io pretendo invece di avere il diritto di non attaccare togliendo la vittoria quando sono fuori dai giochi. Perché? Perché la stragrande maggioranza dei giocatori lo ritiene un comportamento antisportivo e a me non conviene passare per antisportivo. Punto. Quando parlo di abilità relazionali intendo esattamente questo: lavorare a fini strategici sulla percezione di me che ha comunità dei giocanti. L’amicizia non potrebbe entrarci meno. Ciò che c’entra è l’utile.
Su quello che hai scritto ai punti 1 e 2 siamo d'accordo al 100% e mi fa molto piacere. Sul terzo punto divergiamo, sia su Rutran che su tue altre dichiarazioni riguardo allo "scambio di favori". Nessuno nega che siano utili e facciano vincere, ma sono antisportive. Per te non è facile vederlo, lo capisco, perchè le usi a TUO USO E CONSUMO. Questo sarebbe certamente sportivo, se non fosse che quando trasporti il "do ut des" da una partita ad un'altra allora diventa antisportivo perchè non concedi agli altri giocatori della partita pari opportunità in quanto tu hai già un accordo anche se non dichiarato con l'altro giocatore. Questo "accordo non scritto e non detto" nasce da eventi a cui i restanti giocatori della partita sono estranei, pertanto è palesemente antisportivo.
Per essere più chiaro, puoi sportivamente aprire carta ad un giocatore col quale la ha già fatta sapendo che accetterà, ma se facendo una mossa alla quale avresti normalmente la reazione "A" ottieni la reazione "B" come FAVORE RESTITUITO (e non come azione dell'avversario che pensa solamente al proprio vantaggio) allora si tratta di un modo di giocare antisportivo, perchè gli altri giocatori sono esclusi dal quel vantaggio (o ne sono inclusi inclusi in maniera diversa).
Ovviamente questo modo malsano di giocare porta a un gruppo più o meno ampio, non ufficialmente definito di solito, e la vittoria finale va ad uno dei suoi membri.
Il Risiko si presta a questo e il regolamento dei tornei Challenge e Prestichallenge non solo lo permette, ma lo incentiva (perchè ognuno si può scegliere gli avversari e "farsi il proprio torneo su misura", giocando le partite con... o le partite contro... a favore di...).
La conseguenza è che ad un gruppo si oppongono uno o più gruppi, perchè non è possibile vincere sportivamente a Risiko (in particolare nei tornei citati) contro uno o più gruppi che non giocano sportivamente.
Giusto per chiarire, il solo fatto che esista un "gruppo di gioco" è antisportivo in una competizione individuale.
Parlo ovviamente di quei gruppi che restano gruppi anche quando i singoli giocatori entrano in partita (ovvero quando i giocatori non sono più singoli nella competizione che invece è dichiaratamente, almeno implicitamente, individuale).
I gruppi che quando entrano in partite tornano singoli per tutta la durata della partita sono assolutamente leciti e non antisportivi.
Personalmente non mi interessa vincere come parte di un gruppo. Lo trovo privo di qualunque gratificazione (perlomeno di lunga durata; sul momento potrei anche essere contento di aver vinto, ma con riflessioni successive saprei di non aver vinto perchè la vittoria non sarebbe stata conseguita sportivamemte, quindi tutto si ridurrebbe ad aver dominato, non ad aver vinto una competizione sportiva, perchè sportiva non lo era più).
Questo problema insito nel Risiko è praticamente impossibile da risolvere. Ci sarebbero dei modi per rendere questo modo di giocare "in gruppo" meno efficace, perlomeno non sempre efficace, ma non incontrerebbero il favore di un numero di persone sufficientemente ampio.