Come ogni anno in questo periodo le riviste letterarie si producono in una serie di consigli di lettura estivi per l'estate. Io ho scritto per L'Indiscreto un parallelismo verboso, incauto e politicamente scorretto tra due testi che mi sono piaciuti molto. Per comodità ve lo riproduco, metto anche il link



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Che succede al giovane maschio (letterato?) eterosessuale occidentale? I due migliori esordi italiani dell’anno in corso (Chiromantica medica e La vita sessuale di Guglielmo Sputacchiera) paiono tematizzare la caduta (antropologicamente auspicabile?) e il declino (inarrestabile?) dei paradigmi culturali, politici, mentali e comportamentali che stavano alla base delle millenaria supremazia di questa figura patriarcale che oggi si sente minacciata su tutti i fronti: castrazione, crollo dell’identità, erezione pericolante (per essere eufemistici), sodomizzazione passiva non voluta e non cercata ad opera della generazione dei padri o di ancestrali sacerdotesse (pseudosovietiche?) dei cetacei che indossano maschere dai lunghi nasi sul volto e sulla vulva, trasmutazioni, femminilizzazione (più o meno coatta) umiliante, impotenza economica.

Se nella raccolta di racconti di Alessio Mosca (in particolare in Io odio l’Ikea, il testo d’apertura) il protagonista destrorso finisce per ambire ad indossare il burqa e a massaggiare i piedi della compagna che rientra la sera tardi da lavoro, nel romanzo di Ravasio il fantozziano eroe eponimo si sveglia una mattina direttamente transessualizzato. Ai più superficialmente ideologici e meno “artisticamente provveduti” potrebbe senza dubbio venire da chiedersi in ossequio al caterpillar politicamente corretto massimalistico (imperante nelle posture posticce della retorica delle élite progressiste, in quel capillare strumento di colonizzazione dell’immaginario che è la serialità, nella mia bolla editorial-letteraria o forse anche solo nella mia stessa testa a livello superegoico?) se non si tratti di lamentazioni e piagnistei passatisti e reazionari di chi sente di aver perso il proprio primato e i propri privilegi quesiti; in verità a una lettura meno epidermica ci accorgiamo che questi due autori trentenni ipersensibili scelgono di cimentarsi mimeticamente con le ferite più profonde della realtà umana circostante: il naufragio esistenziale (in balia delle mostruose logiche concorrenziali e consumistiche del neoliberismo materialistico postmoderno) dinnanzi allo sgretolamento rovinoso della normatività interpretativa della tradizione nel caso del primo, il disastro antropico conseguente alla disperazione economica del sottoproletariato colto nel caso del secondo. Il punto non è quindi la nostalgia del passato e la volontà conservatrice di ritorno agli antichi fasti del dominio virile, ma al contrario il fallimento colossale nella progettazione di nuove bussole grazie alle quali orientarsi nel collasso globale di ciò che era, del mondo di ieri; il punto cioè non è “dobbiamo torneare a essere ciò che eravamo” ma “come diavolo possiamo affrontare ciò che siamo e che saremo?”. La risposta di ambedue pare ad oggi essere assai pessimistica: “di fronte all'ineluttabile sconfitta che chiamiamo vita non resta che cercare di comprenderla” e rappresentarla – citando e interpolando il Kundera del Sipario. Tanto pessimistica da prevedere nella restituzione letteraria la sola fase destruens: la realtà contemporanea è un’aberrazione tale da giustificare il più radicale escapismo pornografico totalizzante (nel secondo) o la riemersione attraverso le crepe del presente psicologicamente catastrofico di forme primitivistiche e ancestrali di sacralità e misticismo distorti (nel primo). Del resto che compito della letteratura sia indagare (sempre Kundera: “Un romanzo che non scopra un segmento di esistenza finora sconosciuto è immorale. La conoscenza è l'unica moralità del romanzo”) e criticare e non pianificare e costruire è storia vecchia e risaputa, altrimenti leggeremmo entusiasti Che fare? di Cernysevskij e non I demoni di Dostoevskij.

Al di là delle questioni tematiche, questi due esordi che consiglio di leggere in estate hanno un’altra caratteristica che va sottolineata, lo stile sopraffino. Più brillante, acrobatico e battutistico quello di Ravasio (“immune dal bacillo della cultura, ripulito e ingrassato dal boom economico ma eternamente mezzadro nella calotta cranica, il paese crede di aver visto tutto perché in fondo non ha mai visto niente, non ha altro obiettivo a parte quello di reiterare se stesso, in un circolo gastrico chiuso, lavoro-casa-chiesa, dove il battesimo coincide con il funerale, la bocca con lo sfintere”) e più evocativo, specialistico e misterico quello di Mosca (“non potevano perdonarlo, per la legge dell’aratro e del fieno, per la vita, per le loro bestie. […] Ma quelli non gli credettero, troppo abituati alle false promesse del grano e alla slealtà delle stagioni”).